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Con Pertini al Quirinale
di Maurizio Ambrogi
A chi nutrisse ancora oggi sentimenti di nostalgia nei confronti della prima Repubblica sarebbe altamente consigliabile la lettura dei diari di Antonio Maccanico, recentemente pubblicati dal Mulino a cura di Paolo Soddu. Pagine che riflettono nel modo più lucido e immediato la crisi dei partiti dell’epoca, in primo luogo la Democrazia Cristiana; i riti ormai esausti di una classe politica priva di un disegno, dopo la fine della solidarietà nazionale; la crisi della struttura economica, che non aveva saputo consolidare le conquiste del ventennio di eccezionale crescita del dopoguerra. I diari raccontano, con annotazioni che in alcuni periodi sono quasi quotidiane, i sette anni trascorsi da Maccanico al Quirinale durante la presidenza Pertini, dal ’78 all’85. Quaderni raccolti e sistemati da Paolo Soddu, con note numerose e accuratissime che spiegano i riferimenti e i passaggi che possono apparire più oscuri, ricordano il ruolo dei personaggi via via citati e ricostruiscono i momenti politici chiave.
La diaristica non è una scienza esatta, come sanno bene gli storici, e tuttavia fanno eccezione questi ricordi di Antonio Maccanico: per la statura del personaggio; per la precisione, vividezza e sincerità del racconto; per la collocazione centrale dell’autore: segretario generale della presidenza della Repubblica con Pertini, appunto. Una presidenza sicuramente straordinaria, che per la prima volta stabilisce un rapporto diretto con i cittadini, raccoglie una crescente popolarità e rafforza il prestigio dell’istituzione. «Il Presidente Pertini», scrive Maccanico nella prima nota, datata 3 novembre ’78, quasi cinque mesi dopo l’elezione, «si è rivelato un uomo di grande temperamento e di grande stile, amato dalla gente ed in tutto capace di ridare prestigio alla suprema magistratura».
I diari in effetti cominciano l’11 febbraio dell’anno successivo, e sono il racconto della crisi del sistema dei partiti: una lunga agonia cominciata con il rapimento Moro e che si concluderà con la crisi del ’92/’93. I temi della crisi ci sono già tutti, e tutti lucidamente individuati nelle note di Maccanico, che non è un notaio dei rapporti fra Pertini e le forze politiche, ma protagonista e perno di rapporti fra i leader dell’epoca: La Malfa, solo per pochi mesi (morirà nel ’79), Berlinguer, Craxi, Spadolini, Forlani, Cossiga, Andreotti, Fanfani, De Mita, per citare solo i principali. Maccanico non è un uomo di partito (anche se è uomo di passione politica, maturata anzitutto nell’azionismo), è un uomo delle istituzioni: il suo punto di vista non è mai di parte, anche nei confronti degli uomini cui era culturalmente e politicamente più vicino, come i repubblicani. L’ispirazione della sua azione è il bene delle istituzioni e la salute del sistema, di cui vede chiaramente i segni di decadenza coperti in parte dalla popolarità del Presidente, col rischio paradossale, come osserva Soddu nella sua introduzione, di far apparire all’estero un paese migliore, più serio e affidabile di quanto fosse in realtà.
La prima Repubblica, dicevamo. Per capire il clima dell’epoca basta aprire una pagina a caso, 1 ottobre 1980. Il governo Cossiga II è in crisi, si cerca una soluzione, Maccanico annota: «Spadolini, di fronte all’ipotesi della Presidenza laica sostiene che essa può nascere solo dopo il fallimento di quella democristiana di Forlani. Craxi invece ritiene che un veto al democristiano da parte socialista rischi di innescare una spirale di veti a catena dalla quale sarà difficile uscire. Piccoli propone in via principale Fanfani, poi Forlani, poi se stesso: è chiaro che non vuole turbare gli organigrammi congressuali e perciò punta su Fanfani. Questa mattina si è avuto l’incontro Craxi-Piccoli-Forlani. Di questo mi riferisce Spadolini. I socialisti pongono la questione in questi termini: o si fa un quadripartito con i socialdemocratici e con Andreotti, con Presidenza laica; o si fa un tripartito con Fanfani o Forlani Presidente». Prosegue poi la pagina di diario col resoconto di una telefonata con Bisaglia e di un incontro con Craxi: «il quale punta su Fanfani, ma ha modo di constatare di persona che il Presidente non darà al Presidente del Senato l’incarico […]mi dice che Forlani a suo avviso non ha alcuna intenzione di accettare l’incarico, che per rientrare nel governo ha bisogno di garanzie contro i franchi tiratori, che non può accettare una riduzione del peso del partito socialista nel governo, che teme un recupero di Andreotti, che entrino pure i socialdemocratici, ma non a spese dei socialisti» (pag. 114). Una pagina che rende efficacemente il clima dell’epoca: dinamiche politiche fin troppo personalistiche, diffidenze e ambizioni senza visione. La crisi sarà risolta con il governo Forlani, destinato a durare pochi mesi, travolto dallo scandalo della P2. Sarà la volta della prima presidenza laica, affidata a Giovanni Spadolini: durerà un anno e mezzo, con molte difficoltà, ma indiscutibili successi. Nulla che tuttavia possa invertire la lenta quanto inesorabile deriva del sistema. «Chi si adoperò per la ripresa di condizioni minime di coesione – annota Soddu nella sua introduzione – fu Giovanni Spadolini, con il suo governo in genere letto semplicisticamente come preparatorio della fase successiva guidata da un laico, Craxi, il cui stile di governo ebbe però una fisionomia radicalmente diversa».
Il punto politico è appunto questo, come emerge dai Diari e dalle annotazioni personali e talvolta sfiduciate, con cui Maccanico di tanto in tanto accompagna il suo racconto quotidiano. La partita che si gioca in quegli anni è decisiva: fra una evoluzione della democrazia italiana verso la maturazione e la coesione, o invece verso la rottura, il conflitto, per ridisegnare equilibri e rapporti di forza nuovi. Ed è una partita in pratica già segnata, quando Pertini arriva al Quirinale: la prima strada si interrompe bruscamente nel ’78 col rapimento Moro e lo stop al disegno della solidarietà nazionale, cui avevano lavorato Moro, Berlinguer e La Malfa. La seconda si sviluppa proprio durante il settennato di Pertini con l’iniziativa di Craxi, il conflitto aperto a sinistra, la crisi progressiva della Democrazia cristiana e si chiuderà con il pentapartito, soluzione debole che affonderà insieme socialisti e democristiani all’inizio degli anni ’90. L’ipotesi inclusiva, osserva sempre Soddu, era alla base del settennato di Pertini, e questo «aiuta a comprendere il difficile rapporto con Craxi, reso tale soprattutto dai contrasti maturati nei giorni di Moro», quando lo scontro su rigore o trattativa divide da un lato la Dc di Zaccagnini (peraltro tormentata da dubbi e sensi di colpa), il Pci di Berlinguer e il Pri di La Malfa, dall’altro i socialisti di Craxi. Un solco nel quale si innesterà la frattura degli anni successivi. Il tema della democrazia divisa emerge con forza dalle pagine di Maccanico: destino di un paese che non riesce a chiudere antichi contrasti, a far maturare culture politiche assai distanti dentro una visione evolutiva della democrazia moderna e dentro un senso comune delle istituzioni, che per fortuna reggono l’urto, anche grazie al presidio assicurato dalla “suprema magistratura”, dietro la quale non appare secondaria l’azione di raccordo, consiglio, prudenza, esercitata costantemente proprio da Antonio Maccanico.
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