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Una polemica fra Croce e Togliatti alla ripresa della vita libera
di Maurizio Griffo
Una recensione più che polemica

Il primo numero di «Rinascita» esce nel giugno 1944. La rivista, a periodicità mensile, di orientamento e di discussione politica per i quadri e i militanti del partito era stata voluta fortemente dal segretario del Pci, Palmiro Togliatti, rientrato in Italia dall’Unione Sovietica da poco più di due mesi, che ne assume anche la direzione. Lo ritiene uno strumento indispensabile per la costruzione di quello che definirà il “partito nuovo”. In questo fascicolo di apertura compare uno scritto dello stesso Togliatti, che contiene un durissimo attacco a Benedetto Croce. Si tratta di una breve recensione che prende spunto da un intervento crociano, intitolato Per la storia del comunismo in quanto realtà politica, pubblicato su «La Critica» nel 1943 e stampato subito dopo anche come opuscolo1. Nella sua recensione, però, il segretario comunista non si limita a criticare il contenuto dello scritto crociano, ma svolge un attacco personale, mettendo in dubbio anche l’antifascismo del filosofo napoletano. In prima battuta occorre osservare che l’attacco di Togliatti non è legato all’attualità immediata, ma viene fatto, per così dire, a freddo, a distanza di un anno dalla uscita del saggio crociano. Certo, come si è detto, il leader comunista era tornato in Italia da alcune settimane dopo lunghi anni di esilio, e non avrebbe potuto polemizzare con Croce nel momento in cui il suo scritto sul comunismo era stato pubblicato. Tuttavia è significativo che Togliatti ritenga utile aprire un fronte polemico con il filosofo napoletano prendendo a pretesto un opuscolo non recentissimo.
Occorre poi considerare che la polemica togliattiana si trova in controtendenza rispetto al clima politico di quel momento, che era di larga collaborazione antifascista tra i partiti riuniti nel comitato di liberazione nazionale. Un clima che, nelle settimane precedenti, proprio il leader comunista ha contribuito fattivamente ad alimentare. Com’è noto, all’inizio aprile, con la cosiddetta svolta di Salerno, Togliatti ha convinto il partito a mettere da parte la pregiudiziale monarchica, dando la priorità assoluta alla lotta contro il nazifascismo. In questo modo è stato possibile dare vita a un esecutivo sostenuto dai sei partiti antifascisti. Se a capo del nuovo governo è sempre il maresciallo Badoglio, la compagine ministeriale ha adesso un carattere spiccatamente politico e non più amministrativo e tecnico come quella precedente, insediata subito dopo la destituzione di Mussolini nell’estate del 1943. L’iniziativa di Togliatti, voluta fortemente da Stalin, è largamente convergente con l’azione svolta in precedenza da Benedetto Croce ed Enrico De Nicola, che si erano adoperati perché Vittorio Emanuele si facesse da parte. A tal fine era stata messa punto la soluzione della luogotenenza. Il vecchio re, senza abdicare, avrebbe ceduto i poteri all’erede Umberto che sarebbe divenuto, appunto, luogotenente del regno, aprendo così la strada alla possibile collaborazione tra le forze politiche. A conferma dello spirito con cui nasce il nuovo governo è anche la circostanza che tanto Croce quanto Togliatti, entrano a farne parte come ministri senza portafoglio.
La sortita togliattiana non resta senza effetti. Croce interviene con una lunga e puntigliosa dichiarazione nel successivo consiglio dei ministri, chiedendo un’ampia e sollecita riparazione2. Viene così concordata una lettera di rettifica e di precisazione che il segretario comunista scrive e pubblica nel successivo numero di «Rinascita»3. Fin qui i fatti.
Occorre chiedersi, però, come mai un politico abile e navigato come Togliatti rischi una crisi di governo o, comunque, una seria tensione all’interno della maggioranza che lui stesso aveva lavorato a creare, per una polemica spicciola.
A questo interrogativo non è difficile dare una risposta di ordine generale. La decisione di Togliatti si può intendere ponendo mente al doppio binario della sua azione. Da un lato c’è la collaborazione antifascista, che va di certo sostenuta, ma ad essa occorre accompagnare l’azione egemonica. La nozione di egemonia viene elaborata, com’è noto, da Antonio Gramsci nei suoi appunti dal carcere. Secondo il leader comunista sardo, in condizioni in cui la rivoluzione non è un obiettivo perseguibile in tempi brevi, occorre preparare la conquista del potere attraverso una paziente opera di accreditamento culturale, affermando come senso comune la superiorità ideale e pratica del comunismo. Nel 1944 i Quaderni dal carcere non sono ancora stati pubblicati, e vedranno la luce solo alcuni anni dopo, ma Togliatti, che li ha letti e meditati nel manoscritto, ha ricavato da essi un principio direttivo cui ispirerà la sua azione politica. Da questo punto di vista, la polemica anticrociana di Togliatti del giugno 1944 si può considerare la prima applicazione pratica che viene fatta dell’insegnamento gramsciano.
Palesi sono anche i motivi che lo portano a indirizzare da subito il fuoco polemico contro Benedetto Croce. Il filosofo napoletano era all’epoca l’intellettuale italiano più prestigioso. Conosciuto anche all’estero per le sue idee liberali e assai noto per essere stato il principale e più prestigioso oppositore del fascismo. Mettere in cattiva luce Croce era in qualche modo la premessa necessaria per poter esercitare una qualche influenza sulla vita culturale e politica del nostro paese. In altri termini, questo episodio dimostra che un margine di autonomia da Mosca Togliatti lo persegue non sul versante delle scelte politiche generali, bensì su quello della polemica politico-culturale4.



Croce e Marx, uno sguardo d’insieme

Fissata la cornice d’insieme entro cui occorre collocare lo scritto di Togliatti, converrà adesso esaminare il merito delle rispettive argomentazioni, non senza aver prima fornito qualche ragguaglio sul giudizio che Croce ha espresso, in varie fasi della sua vita, sul pensiero di Marx e sul comunismo.
Lo scritto Per la storia del comunismo in quanto realtà politica, infatti, non è certo il primo intervento che Croce dedica a questi temi. Si tratta, invece, di argomenti su cui ha riflettuto e scritto, a intervalli più o meno spaziati, lungo tutto l’arco della sua vita. Analisi e messe a punto nelle quali, accanto a forti elementi di continuità, è possibile individuare dei significativi mutamenti di tono e di accenti5.
Benedetto Croce ha sempre mostrato un grande rispetto intellettuale per l’opera di Marx. Gli studi marxisti condotti alla fine del XIX secolo, a partire dalla sollecitazione di Antonio Labriola, sono un passaggio essenziale nella formazione di quella che sarà la filosofia dello spirito. E marcheranno una tappa significativa anche sul piano, come dire, esistenziale. Ancora nello scritto che qui analizziamo, ricordando quella fase della sua vita, Croce parlerà dell’incontro col «pensiero inebriante del Marx»6. Certo, del pensiero marxiano Croce ha dato da subito una lettura tutt’altro che empatica o indulgente. La critica serrata della cosiddetta legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, la sottolineatura di quello che il filosofo napoletano definiva il paragone ellittico sottostante le analisi di Marx mettevano in luce la scarsa attendibilità della sua opera dal punto di vista della teoria economica. Correlativamente, la definizione del marxismo come un canone d’interpretazione storiografico amputava la dottrina marxiana della sua pulsione rivoluzionaria, riconducendola alla categoria del realismo politico. Questa prima sistemazione interpretativa dell’opera di Marx, che Croce fissa nei saggi raccolti in Materialismo storico ed economia marxistica7, trova poi delle messe appunto successive sollecitate dagli avvenimenti ulteriori.
La rivoluzione russa e gli sconvolgimenti successivi alla prima guerra mondiale portano Croce a ripensare i giudizi precedenti, perché adesso occorreva valutare una realtà di fatto e non più una costruzione intellettuale. Il successo del bolscevismo in Russia gli appare come una manifestazione particolare di quell’attivismo vitalistico intriso di violenza e intolleranza che si manifesta nel travagliato dopoguerra. In questo il bolscevismo e il fascismo sono da lui accomunati come fenomeni diversi ma che trovano una matrice comune nello spirito rivoluzionario e nella ripulsa per le mediazioni pacifiche e gli accomodamenti pratici che caratterizzato la vita politica nei paesi liberi. In questo senso, come dirà nel 1927, «i nazionalismi e autoritarismi, che si oppongono al socialismo e al comunismo» ne costituiscono «un’imitazione al rovescio», anche se «la forma seria e coerente e fondamentale rimane sempre quella marxistica»8.
Nel 1932 la pubblicazione di un’opera inedita di Marx ed Engels, L’ideologia tedesca, composta il 1845 ed il 1847, induce Croce a un riesame della dottrina marxista. Se fino a quel momento aveva tendenzialmente distinto tra l’opera di Marx e la rivoluzione sovietica, ricusando una meccanica connessione tra questi due aspetti, da adesso in avanti con sempre maggiore frequenza andrà a sottolineare il «nesso tra comunismo russo e materialismo storico ritrovando nella componente apocalittica del marxismo la formula politica di uno Stato che vuole costruire il suo dominio sul mito del mondo nuovo»9.
A partire dagli anni Quaranta si registra una crescente presenza di motivi critici del comunismo nella produzione crociana. Una caratteristica che si accentua dopo la fine del conflitto mondiale e l’inizio della guerra fredda. In questo percorso, alla polemica quotidiana, che Croce si trova a svolgere in quella fase di diretto impegno politico, si accoppia la riflessione concettuale e teorica, che conferma e approfondisce i motivi di critica al comunismo sovietico e al pensiero di Marx.
In tale complessiva temperie va collocato anche il saggio sul Comunismo in quanto realtà politica che, possiamo dire, apre l’ultimo periodo della riflessione crociana sull’argomento. L’intervento per quanto pubblicato nel maggio del 1943 era stato scritto verso la fine del novembre 1941. L’autore, però, aveva atteso oltre un anno e mezzo prima darlo alle stampe per motivi di opportunità10. Con molta probabilità lo spunto occasionale per scrivere viene a Croce dalla pubblicazione del libro di memorie di Henri De Man11, ma la ragione sostanziale è quella di fare chiarezza teorica rispetto a un tema che gli appare cruciale in vista della ripresa della vita libera. Peraltro, il motivo occasionale, l’autobiografia di un socialista belga che era diventato collaborazionista durante l’occupazione tedesca, e quello remoto, la necessità di svolgere argomenti utili per contrastare le lusinghe del comunismo, convergono poi largamente nell’argomentazione sviluppata.



Una polemica premeditata

Nel suo saggio Croce mette subito in chiaro, dal punto assiologico, l’impossibilità di una storia del comunismo perché questo è un ideale vuoto in cui la vita è concepita «come pace senza contrasti e senza gara», una sorta di «utopia assoluta, irredimibile, inattuabile», difficile da immaginare senza ridurre «gli uomini in fantocci, privi di nervi e di sangue, di fantasia, di pensiero e di volontà»12. Rilevare questo, secondo Croce, non significa negare che il movimento socialista abbia avuto un’influenza sul corso storico, contribuendo indirettamente «alla formazione della cosiddetta legislazione sociale». La dottrina marxista, però, ha svolto anche un’opera fortemente negativa, contribuendo «a falsificare e a vilipendere con capziose interpretazioni e acri motti satirici il sistema liberale, stoltamente descrivendolo come nient’altro che una serie di consapevoli, e ancor più d’inconsapevoli, finzioni e menzogne, a protezione dei capitalisti o borghesi». Sotto questi attacchi il liberalismo venne depotenziato, «e sentì scossa in sé stesso la fiducia che la coscienza del suo alto carattere morale gli aveva conferita».
Oltre a quella che possiamo chiamare la critica della critica dell’ideologia, Croce riprende anche un altro argomento adoperato in scritti precedenti, ricordando che Marx si rifiutò sempre di definire i lineamenti della futura società comunista. In questa occasione tale osservazione trova una specifica relativa alle forme politiche, quando osserva che l’unico chiarimento da lui dato fu una singola parola «dittatura, alla quale aggiunse il genitivo “del proletariato”». Tuttavia, ricorda Croce, la dittatura «intesa come istituto giuridico» si intende «in relazione con un regime stabilito che venga temporaneamente sospeso e al quale si pensi di tornare, sorpassate che siano le condizioni straordinarie». Se invece, come in Russia, «questa relazione manca», allora «la dittatura non è temporanea ma duratura e prende altro nome di ben diverso suono»13.
Che lo scritto non si risolva in una ripetizione di argomenti precedenti ma sia frutto di un approfondimento recente lo dimostra anche un accenno successivo, quando Croce osserva che «in libri specialmente inglesi e americani mi è capitato di leggere ragguagli dai quali si ricava» che in Russia la dittatura non è «del proletariato ma di una burocrazia tecnica e politica, che è una nuova classe, rimunerata in più alta misura dei suoi amministrati». Una classe che «coltiva da sé i propri eredi, mandando i suoi figli alle università e preparandoli a succederle nella pubblica direzione e amministrazione; laddove contadini e operai non hanno la facoltà di trasferirsi da un luogo all’altro e sono come affissi alla gleba»14.
Nella sua recensione Togliatti non sviluppa argomenti teorici, ma conduce una polemica tutta politica, volta anzitutto a mostrare l’eccellenza del regime sovietico. In primo luogo fa proprio quello che Croce, quando aveva parlato dell’inattuabilità del comunismo, aveva messo in guardia dal fare: contrapporre un fatto a un principio. Il leader comunista, infatti, non manca di ricordare che la società socialista dell’URSS «crea il terreno sul quale l’umanità fa un altro grandioso salto in avanti, differenziando e soddisfacendo in modo più adeguato i suoi bisogni, arricchendo di nuovi motivi la sua vita sentimentale, infondendo un contenuto più alto ai sentimenti eterni che legano l’uomo […] creando insomma, per concedere alla terminologia dell’autore, una forma più elevata di libertà»15. L’apologia sovietica si coglie anche in un inciso relativo alla maniera con cui Croce si è documentato (il riferimento a libri inglesi e americani). A tal proposito Togliatti osserva: «perché servirsi di sospettissime fonti inglesi e americane […] quando sono a tutti accessibile fonti sovietiche»16.
Sotto questo profilo la posizione togliattiana si uniforma ad un’asciutta realpolitik intellettuale, consapevole che la forza di attrazione del comunismo dipende dalla credibilità del modello sovietico. Come avrebbe notato qualche anno dopo Roger Caillois, «lungi che sia il marxismo a garantire la forza e il prestigio del partito comunista, dovunque è il partito comunista, con l’impero che lo spalleggia, un quinto del globo, come si ripete spesso, che fanno, e loro soli, la forza e il prestigio attuali della dottrina marxista»17.
Lo scritto togliattiano, però, ha soprattutto lo scopo di attaccare la credibilità politica crociana, negando il suo ruolo di oppositore del fascismo. Il leader comunista rileva, infatti, come Croce, proprio in quanto «campione della lotta contro il marxismo», abbia goduto di «una curiosa situazione di privilegio nel corso degli ultimi vent’anni». Grazie a tali meriti antimarxisti si è creata «tra lui e il fascismo un’aperta collaborazione, prezzo della facoltà che gli fu concessa di arrischiare ogni tanto una timida frecciolina contro il regime». Si tratta di «una macchia di ordine morale che non gli possiamo perdonare e ch’egli non riuscirà a cancellare»18.
La pesantezza dell’attacco, che ha toni calunniosi, conferma che la polemica non è frutto di una improvvisa foga polemica ma risponde a un disegno premeditato. Prima si è detto della volontà di denigrare l’antifascismo di Croce come movente generale della recensione togliattiana, ma è forse possibile indicare una più determinata motivazione. Il desiderio di fare terra bruciata rispetto a una particolare caratteristica della critica crociana al comunismo, cioè la sottolineatura degli elementi comuni al fascismo e al comunismo.
Si tratta di un motivo che abbiamo visto espresso nel 1927, che tornerà a manifestarsi in diverse circostanze19, e che affiora anche nel saggio del 1943, quando Croce osserva come al metodo in uso nei regimi liberali «del continuo progresso graduale e legale», si è voluto sostituire il metodo rivoluzionario. Questa attesa della rivoluzione, divenuta quasi «uno stato d’animo ordinario e normale, venne preparando quel che è in parecchi paesi avvenuto poi, e che in nessun luogo è stato lo stabilimento del proletariato e del comunismo, ma solo il disfacimento degli ordinamenti e dei governi liberali per governi di autorità»20.
Che l’intenzione polemica di Togliatti fosse intesa soprattutto a scongiurare una lettura comune del fenomeno totalitario, in cui venissero accomunati fascismo e comunismo, ce lo conferma un passo dell’intervento con cui il leader comunista aveva annunciato, due mesi prima, la cosiddetta svolta di Salerno. In quella occasione Togliatti, parlando ai quadri del partito napoletano, ricordava come durante il ventennio fascista, i comunisti siano stati il bersaglio «di quei liberali che ritennero utile e necessario […] infierire contro di noi, screditarci, calunniarci, mentre a noi imbavagliati o per forza assenti, era negata ogni difesa. Ciò ch’essi pretendevano, era di mostrare, − dicevano, − la sedicente nostra parentela ideologica col fascismo»21. Già a quella data, insomma, non solo l’obiettivo polemico era individuato in maniera abbastanza comprensibile, appena mascherato da una perifrasi plurale (“quei liberali”), ma, ed è quel che più conta, l’oggetto di fondo della polemica era enunciato in maniera assai netta. Questa presa di posizione togliattiana fisserà le coordinate dei dibattiti futuri, dove il partito comunista italiano rifiuterà tenacemente la nozione di totalitarismo per analizzare e definire i regimi dittatoriali del ventesimo secolo.

















NOTE
1 Cfr. P Togliatti, recensione a Benedetto Croce, Per la storia del comunismo in quanto realtà politica, in «Rinascita», A. I, n. 1, giugno 1944, p. 30. La recensione è siglata p.t.; ristampata in P. Togliatti, I corsivi di Roderigo, Bari, De Donato, 1976, pp. 125-128, da cui citiamo. Lo scritto crociano è stato ristampato in B. Croce, Discorsi di varia filosofia, volume primo, Napoli, Bibliopolis, 2011, pp. 269-281.^
2 La dichiarazione si può leggere in B. Croce, Nuove pagine sparse, volume primo, Bari, Laterza, 1966, pp. 419-421. In un primo tempo Croce aveva pensato ad una risposta da dare sulla stampa, poi cambiò idea ritenendo la dichiarazione in consiglio dei ministri il mezzo più adatto per avere un rapido chiarimento, cfr. le note di diario del 21 e 22 giugno 1944, B. Croce, Taccuini di guerra, a cura di C. Cassani, con un saggio di P. Craveri, Milano, Adelphi, 2005, pp. 161-163.^
3 Cfr. P. Togliatti, Lettera a Benedetto Croce, in «Rinascita», a. I, n. 2, luglio 1944, p. 31. La lettera è datata 28 giugno 1944. Alcune altre lettere e documenti relativi a questo episodio sono pubblicati in M. Griffo (a cura di), dall’«Italia tagliata in due» all’Assemblea costituente. Documenti e testimonianze dai carteggi di Benedetto Croce, prefazione di G. Sasso, Bologna, il Mulino, 1998, pp. 188-195.^
4 Per l’attitudine generale di Togliatti nei confronti del pensiero e dell’opera di Croce cfr. G. Galasso, Togliatti e Croce, in Idem, Da Mazzini a Salvemini. Il pensiero democratico nell’Italia moderna, Firenze, Le Monnier, 1974, pp. 312-330 e, in particolare per la fase analizzata in questa sede, pp. 320-322; vedi anche dello stesso autore, Croce e lo spirito del suo tempo, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. 552.^
5 Per questa analisi sintetica del giudizio crociano su Marx e sul comunismo seguiamo largamente la periodizzazione fissata in A. Jannazzo, Croce e il comunismo, Napoli, Esi, 1982.^
6 B. Croce, Per la storia del comunismo in quanto realtà politica, cit., p. 269.^
7 Idem, Materialismo storico ed economia marxistica, Napoli, Bibliopolis, 2001.^
8 B. Croce, Intervista con Lina Waterfield per l’«Observer», maggio 1927, in Idem, Epistolario I. Scelta di lettere curata dall’autore 1914-1935, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1967, p. 136.^
9 A. Jannazzo, Croce e il comunismo, cit., p. 131.^
10 Per la datazione del saggio, scritto durante un soggiorno a Bari, cfr. l’annotazione di diario del 22 novembre 1941, dove, per una svista, Croce si riferisce allo scritto come Per la storia del socialismo in quanto realtà politica, B. Croce, Taccuini di lavoro IV 1937-1943, Napoli, Arte tipografica, 1987, p. 319; vedi anche gli Appunti per progettata replica a Togliatti, in M. Griffo (a cura di), dall’«Italia tagliata in due» all’Assemblea costituente, cit., p. 195.^
11 Cfr. la lettera di Giovanni Laterza a Croce del 17 novembre 1941 in B. Croce, G. Laterza, Carteggio IV 1931-1943, Tomo II, a cura di A. Pompilio, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 1235.^
12 B. Croce, Per la storia del comunismo in quanto realtà politica, cit., p. 270.^
13 Ivi, pp. 275-276.^
14 Ivi, p. 277.^
15 P. Togliatti, I corsivi di Roderigo, cit., p. 127.^
16 Ivi, p. 126.^
17 R. Caillois, Description du marxisme, Paris, Gallimard, 1950, p. 28.^
18 P. Togliatti, I corsivi di Roderigo, cit., p. 127.^
19 Vedi, per esempio, B. Croce, Russia ed Europa, ora in Idem, Scritti e discorsi politici (1943-1947), volume secondo, Napoli, Bibliopolis, 1993, p. 180.^
20 B. Croce, Per la storia del comunismo in quanto realtà politica, cit., p. 276.^
21 P. Togliatti, La politica di unità nazionale dei comunisti. Rapporto ai quadri dell’organizzazione comunista napoletana 11 aprile 1944, Napoli, La città del sole, 2002, p. 14.^
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