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“Uno dei più armonici sottosopra che la più ardita fantasia possa immaginarsi”: Hans Von Bülow su Napoli
di Anna Maria Voci
In Italia il direttore d’orchestra, virtuoso pianista e compositore Hans von Bülow (1830-1894) è ormai noto solo alla cerchia dei musicisti, dei direttori d’orchestra e degli storici della musica1. Ai suoi tempi, però, egli fu una vera star, sia come direttore d’orchestra, sia come virtuoso pianista, ricercato dalle maggiori orchestre e acclamato dal pubblico del vecchio e del nuovo mondo.
Nato a Dresda l’8 gennaio 1830 da famiglia di nobiltà molto antica del Meclemburgo, la sua educazione musicale si svolse prima a Lipsia (con Friedrich Wieck, il padre di Clara Schumann), poi, nei primi anni ’40, a Dresda. Sin dagli anni ’40 si entusiasmò alla musica wagneriana. Nel 1848 si iscrisse, su insistenza della famiglia, alla facoltà giuridica dell’Università di Lipsia. A Weimar, nel 1850, assistette ad una rappresentazione del Lohengrin, diretta da Liszt, e prese allora la decisione definitiva di dedicare la sua vita alla musica e di abbandonare lo studio del diritto. Andò quindi a Zurigo a studiare direzione d’orchestra con Wagner. Da Zurigo si trasferì intorno al 1852 aWeimar per completare con Liszt la sua formazione di pianista. Già nel 1853 fece una tournée per la Germania e l’Austria. Si stabilì a Berlino, dove nel 1855 ebbe un posto di insegnante al Conservatorio e, nel 1857, sposò la figlia primogenita di Liszt, Cosima (1837-1930). Nel 1865 si trasferì a Monaco, dove in quel tempo risiedeva anche Wagner. Ivi ebbe dal re Ludovico II il posto di maestro di cappella della Corte (Hofkapellmeister), e diresse, tra l’altro, la prima del Tristano e Isotta (1865) e dei Maestri cantori di Norimberga (1868). A Monaco Cosima iniziò una relazione con Wagner e, nel 1869, lasciò il marito per unirsi a lui. Nel 1870 seguì il divorzio e il matrimonio tra Cosima e Wagner. Tra il 1875 ed il 1876 Bülow fece una tournée trionfale negli Stati Uniti d’America, dove diede 139 concerti in altrettante località. Tra il 1877 ed il 1880 fu maestro di cappella al Hoftheater di Hannover; dal 1880 al 1885 sovrintendente musicale (Hofmusikintendant) alla Corte del duca Giorgio II di Meiningen. Con l’orchestra di Meiningen intraprese innumerevoli tournées in tutta Europa, soprattutto per diffondere la conoscenza della musica di Brahms. A Meiningen sposò nel 1882 l’attrice Marie Schanzer (1857-1941), molto più giovane di lui, che, dopo la sua morte, curerà l’edizione dei suoi scritti e delle sue lettere. Da questa edizione sono tratte le due lettere che qui si ripubblicano. Dal 1888 Bülow prese la residenza ad Amburgo, ma continuò a viaggiare e a dare concerti. Contemporaneamente, dal 1887 al 1892 diresse anche i Berliner Philharmoniker. Morì il 12 febbraio 1894 al Cairo, dove aveva cercato un clima più adatto alla sua salute divenuta precaria.
Tra la fine del 1869 e la prima metà del 1872 Bülow soggiornò quasi continuamente in Italia, soprattutto a Firenze, e trovò distrazione, sostegno morale e conforto alla depressione seguìta al fallimento del suo matrimonio nell’amicizia con Jessie Laussot, che risiedeva a Firenze. Jessie era una signora britannica, nata a Londra il 27 dicembre del 18262. Il padre, Edgar Taylor (1793-1839), era stato un avvocato benestante con vasti interessi letterari e buona conoscenza delle principali lingue straniere, che trasmise alla figlia. Il suo ricordo è rimasto soprattutto per la prima traduzione inglese delle fiabe dei fratelli Grimm. Morì ancora giovane, lasciando alla moglie, Ann Taylor, e alla figlia dodicenne Jessie un discreto patrimonio. A quindici anni, nel 1842, Jessie Taylor, che aveva dimostrato ben presto un grande talento musicale, fu portata dalla madre in Germania, a Dresda, dove prese lezioni di pianoforte dalla stessa Cäcilie Schmiedel che aveva tra i suoi alunni anche l’allora dodicenne Hans von Bülow. Da quel momento datò la grande amicizia tra Jessie e Bülow. A soli 17 anni, nell’agosto del 1844, Jessie sposò a Londra, probabilmente spinta anche dalla madre, un facoltoso mercante di vini di Bordeaux, Eugène Laussot. Fu un passo fatale, che Jessie dovette poi rimpiangere per oltre trent’anni. I due, infatti, non avevano quasi alcun interesse in comune. Jessie era di nuovo a Dresda il 19 ottobre 1845 per la prima del Tannhäuser. Anch’ella, come Bülow, può essere considerata una wagneriana fervida della prima ora. Nell’aprile del 1848 fu presentata a Wagner, che, però, non pare allora aver fatto molto caso a lei, fino a quando, all’inizio del 1850, Jessie, nel frattempo sistematasi a Bordeaux, convinse la madre ad offrire un aiuto finanziario a Wagner, fuggito in esilio in Svizzera dopo la partecipazione ai moti di Dresda del maggio 1849 e del tutto privo di mezzi. Wagner accolse subito l’invito di Jessie a recarsi a Bordeaux, dove soggiornò tra la seconda metà di marzo e i primi giorni di aprile del 1850 in casa Laussot. Qui tra Wagner e Jessie si sviluppò un’attrazione reciproca, basata sui comuni interessi intellettuali, e i due, insoddisfatti dei rispettivi coniugi, progettarono di scappare insieme in Grecia. Jessie, però, non se la sentì di tenere all’oscuro sua madre del piano e si confidò con lei. Ann Taylor riferì subito tutto al genero e costui mise immediatamente alla porta Wagner.
Questo episodio della vita di Wagner è stato trattato dalla letteratura wagneriana alla stregua di un’avventura scapestrata vissuta dal musicista, uomo maturo, dotato di un enorme talento musicale, ma di non molti scrupoli, con una ragazzina immatura e scriteriata, cosa che ha fatto molto torto all’immagine di Jessie. La verità è che ella era una giovane donna dal grandissimo talento musicale e a disagio nell’ambiente borghese-mercantile in cui si era venuta a trovare per una decisione affrettata e non meditata presa da adolescente. Quella di Jessie per Wagner fu un’infatuazione giovanile per la personalità di un uomo che ammirava profondamente e il cui mondo intellettuale ella sentiva così affine e apparentato al suo. Si trattò di un’infatuazione del tutto comprensibile in una persona dal mondo interiore così ricco e dalle spiccate doti artistiche, come era Jessie. E infatti tutta la sua vita posteriore sta a dimostrare la misura della sua grande e ammirevole personalità. Nonostante alcune reciproche accuse e incomprensioni che accompagnarono la definitiva separazione tra Jessie e Wagner, dato che Wagner le rimproverò la debolezza di essersi confidata alla madre, i due rimasero in un contatto cortese e amichevole, pur se distanziato e sporadico. Poco dopo questa vicenda con Wagner, nel corso della seconda metà del 1850, Jessie fece la conoscenza a Bordeaux di un giovane emigrato tedesco, Karl Hillebrand (1829-1884), allora ancora studente all’Università di Bordeaux. Costui, il futuro storico, storico della cultura e della letteratura e, ai suoi tempi, celebre saggista, dal 1863 al 1870 professore ordinario delle letterature straniere a Douai3, sarebbe divenuto l’uomo della sua vita.
Nel 1853 Jessie lasciò definitivamente il marito e si trasferì in Germania, soggiornando a Weimar, Dresda e Stoccarda e dando lezioni di musica per mantenersi. Il patrimonio del padre sarebbe infatti rimasto intestato alla madre, con il vincolo della sua conservazione e devoluzione alla figlia solo dopo la morte di quella, che avvenne a Firenze nel settembre del 1883. Durante i suoi soggiorni a Weimar Jessie strinse sin dal 1854 un’amicizia con Liszt, che durerà fino alla morte del compositore (1886). Per tutti questi anni ella mantenne vivo il contatto con Hillebrand. Intorno al 1860 si trasferì a Firenze, dove rimase fino alla fine della sua vita. Ivi, durante quasi ogni estate degli anni ’60, si rivide con Hillebrand, che trascorreva a Firenze il periodo delle ferie universitarie. Alla fine del 1870 costui, fuggito dalla Francia a seguito della guerra franco-prussiana, si sistemò definitivamente a Firenze.
Verso la metà del 1872, proprio nel periodo della lettera di Bülow a Jessie da Napoli, che qui si presenta in versione italiana, i due, pur non essendo sposati perché Jessie, per via della legge francese, non poteva divorziare da Laussot, andarono a vivere insieme in un appartamento del Lung’Arno Nuovo (oggi: Lungarno Vespucci). A tale trasloco allude pertanto Bülow nella sua missiva. Con loro viveva anche la madre di Jessie. Nel 1861 quest’ultima fondò a Firenze, allo scopo di diffondere la cultura della musica corale e cameristica, la Società musicale fiorentina, che dal 1864 si chiamò Società Luigi Cherubini, musicista che ella ammirava ben più di Verdi. Jessie insegnò pianoforte a diversi giovani italiani e inglesi, il cui talento fu da lei scoperto e favorito. Tra essi mi limito a ricordare Giuseppe Buonamici ed Alexander Mackenzie. Aiutò e promosse la carriera musicale di Giovanni Sgambati e Walter Bache, che il 1° marzo 1862 la definiva “the most thorough musician of any lady I ever knew”4. In generale ella svolse a Firenze un’intensa e instancabile opera di mediazione e diffusione della cultura musicale, soprattutto della cultura musicale tedesca, e soprattutto della musica corale, camerale e strumentale, in reazione al predominio assoluto esercitato allora dal genere operistico sulla vita musicale italiana. Questa sua attività solo oggi comincia ad essere valutata, anzi rivalutata, dato che Jessie Laussot e l’opera musicale che svolse per tutta la vita furono ben presto dimenticate dopo la sua morte.
Dopo la morte del primo marito (1878) Jessie e Karl poterono finalmente sposarsi. Il matrimonio avvenne a Londra, il 18 giugno 1879. Nel 1881 Jessie pubblicò in italiano sotto lo pseudonimo di Gio. Alibrandi un Manuale di Musica all’uso degli insegnanti ed alunni. Un segno della vasta e poliedrica cultura di Jessie, che parlava e scriveva correntemente in quattro lingue e aveva un’ampia conoscenza anche delle rispettive letterature, oltre che delle letterature classiche, è la sua traduzione inglese di due opere di un filosofo molto ammirato da Karl Hillebrand, Schopenhauer, Ueber die vierfache Wurzel des Satzes vom zureichenden Grunde (1813) e Ueber den Willen in der Natur (1836), apparsa nel 18895. Un anno dopo la morte della madre, Jessie perdette anche l’amatissimo marito, che morì a Firenze il 18 ottobre 1884. Jessie gli sopravvisse di oltre venti anni. Morì a Firenze l’8 maggio 1905.
La due lettere scritte da Hans von Bülow da Napoli il 4 e 5 maggio 1872 e dirette, la prima, a Giuseppe Buonamici (in italiano), la seconda a Jessie Laussot (in tedesco), che qui si ripubblicano, contengono una descrizione molto breve, è vero, ma brillante, divertente e densa di osservazioni e giudizi acuti su Napoli, che egli visitò in un momento, per così dire, storico, cioè al tempo dell’eruzione del Vesuvio avvenuta nell’ultima settimana di aprile del 1872. Lo stile di queste lettere è un esempio tipico della penna e della lingua ironiche, e a tratti burlone e scanzonate, del loro autore, che gli procurarono parecchie inimicizie in Germania. A ciò si aggiungono le osservazioni, lapidarie ma interessanti, sulla vita musicale napoletana del tempo e sulla sua qualità, in particolare un notevole giudizio estetico sul Don Pasquale di Donizetti. Ciò che tuttavia, a mio giudizio, rende queste due lettere un po’ diverse dalle numerosissime fonti che spesso ripetono i ben noti luoghi comuni sul carattere di Napoli e dei Napoletani è il fatto che la città è vissuta da Bülow (e non vi è da meravigliarsi) non tanto con gli occhi, quanto piuttosto con le orecchie. E di fonti di questo tipo ne esistono, per quanto so, ben poche.
La presenza di Bülow a Napoli è attestata quest’unica volta, cioè nella primavera del 1872, e mai più in seguito, nonostante egli allora scrivesse a Jessie Laussot che poteva ben immaginarsi di sistemarsi a Napoli e di volersi addirittura costruire una casa a Pompei, cosa che, poi, non fece.




Hans von Bülow a Giuseppe Buonamici6
Napoli, lì 4 maggio 1872

Caro Beppe,
come sta, cosa fa? Fu eseguito il Suo famoso quartetto e corrispose l’effetto al concetto? In quanto a me sono arcicontento sotto molti riguardi (molto meno sotto varii altri), – mi congratulo della scelta del luogo, in cui posso senza alcuna irritazione veder scorrere la reazione delle fatiche della mia campagna invernale (un tantino anche infernale), fatiche molto più sensibili nel dopo che nel mentre.
Quanto sono stato ben ispirato nell’affrettare tanto la marcia alla volta del Sud! Giunto la sera del 25 del mese scorso ho potuto assistere ad uno dei più magnifici e contemporaneamente dei più spaventevoli sfoghi di S.M. il Vesuvio il quale ebbe luogo il 26. Proprio, avrei avuto voglia di appiccarmi se fossi arrivato un giorno più tardi. Che spettacolo, caro mio! Non se ne può fare un’idea approssimativa! Si sbaglierebbe però a credere che fosse stato uno spettacolo affatto «gratis»! Abbiamo dovuto pagarlo con cinque giorni fastidiosissimi. Cielo scuro, color di piombo, nebbia, una polvere indiavolata, pioggia di sabbia nera, di cenere senza intermissione, impossibile di uscire senza ombrello, senza fazzoletto in guisa di velo sul viso. Essendo pure lo stesso nei contorni, bisognava stare in casa (col lume) e contentarsi del museo (collezione di sculture stupenda, quadri roba dappoco, preziosissime antichità) e dei teatri la sera.
San Carlo mi è poco piaciuto – qual’aspetto preferisco la Scala, meno armonica però. Ballo mediocrissimo – opera scellerata «Selvaggia» del Maestro V7., un uomo senza il menomo talento, rubatore sfacciato, esibitore pure di molta ignoranza – Orchestra e direttore mediocri – al di sotto della Scala, anche della Pergola8. Insomma decadenza musicale terribile secondo ciò che mi afferma – indovini – Guido Papini9.
Al teatro del Fondo10 compagnia Sadowsky11 coll’eccellente Cesare Rossi12 e la più che mai carina Annetta Campi13. Per disgrazia ogni giorno qualche idillio o dramma senza azione né caratteri – ma in irreprensibili versi – del troppo celebrato L. Marenco14, autore che mi è tanto antipatico, quanto mi è simpatico il Ferrari, di cui l’ultima commedia «Cause ed effetti»15 è un vero capolavoro.
Jersera in compagnia di gentilissime Signore le quali mi dimandano spesso delle nuove di Lei, ho avuto un gran piacere musicale a cui non mi aspettavo mica. In un teatrino piccino piccino (pulito però – eccezione rimarchevole nella capitale del sudiciume – sudiciume del resto tanto imponente da un lato, tanto gajo, tanto moltiforme e colorito dall’altro, che è impossibile non pigliarci gusto) ho sentito meravigliosamente ben recitata un’opera italiana, che io ritengo esser il capolavoro della scuola italiana pretta dopo il Barbiere: Don Pasquale di Donizetti16. La conoscevo appena appena questa proprio adorabile musica, la quale stabilisce l’autore tanto al di sopra del suo «omonimo»17 – che parmi proprio poterlo accennare ai giovini maestri drammatici qual modello del genere e guida nelle loro titubazioni. Conosce Ella lo spartito? Una abbondanza melodica stupenda, un brio proprio affascinante, una condotta corretta sempre (eccettuato una porcheria spiacevole assai in un coro del terzo atto), quasi altrettanto classica quanto quella del Barbiere. Ripensando a tutto che ho sentito durante due anni di soggiorno nello stivale, posso dire che è stata l’impressione la più gradita che potessi vantarmi di aver ricevuta in fatto di musica.
Oggi vò far un peregrinaggio alla tomba del sommo Giacomo Leopardi: chiesa San Vitale fuori di Piedigrotta.
Vuol farmi il piacere, se non le costerà troppo tempo, di mandarmi una copia del mio stornello «Pia di Tolomei» – non ne ho più idea, non avendone serbato nessun «indizio».



Hans von Bülow a Jessie Laussot18
Napoli, lì 5 maggio 1872

Gentilissima amica,
è ancora sul punto di traslocare o sta già entrando nella nuova abitazione? Ho una tale compassione per le vittime dello scompiglio19 di un trasloco (ne ho sperimentati diversi nella mia vita, Verità senza Poesia20, prima parte), che non riesco a osservarli senza qualche lacrima negli occhi. Vede, questo è il segreto della
mia fuga a Maccaronopoli21.
Legga il ritaglio di giornale che Le allego, che ieri sera mi ha proprio impaurito. Credevo di aver trovato finalmente una città nella quale poter andare in giro del tutto in incognito, ma mi sbagliavo di grosso! Ieri l’altro a teatro, allorché mi deliziavo all’ascolto di un’eccellente rappresentazione del Don Pasquale, che, tra parentesi22, ho visto qui per la prima volta e che dichiaro essere di gran lunga la migliore opera dopo il Barbiere23 , devono avermi riconosciuto un paio di orchestrali, che hanno strimpellato sotto la mia direzione, forse a Milano, o forse a Firenze. Altrimenti non saprei spiegarmi questo trafiletto di giornale, che naturalmente non può avere altro scopo che quello di fare réclame al relativo teatrino24.
Che se lo porti il diavolo zoppo25! Quando tornerò dall’America mi farò costruire una casetta a Pompei. Vedi Pompei e poi muori26 dovrebbe dire la persona armata di una cultura più o meno sforacchiata.
Mi dica, Lei non conosce Napoli? È così? Sa che ha proprio torto? Non parlo solo della posizione celestiale – parlo della città par excellence, che offre lo spettacolo di uno dei più armonici sottosopra27 che la più ardita fantasia possa immaginarsi. Incredibile, questa policromia, questa sporcizia allegra, imponente per la massa e per la multiformità, per il convergere singolare delle più stridule dissonanze singole in un concerto celestiale di gatti o di crateri28. Si immagini il coro del mercato dalla Muta29, rielaborato in una fuga ad otto voci nello stile dell’opera 106 finale30, o della scena della baruffa dei Maestri Cantori. Le dico: Vienna è una Darmstadt al confronto di Napoli!
Ieri gigantesca processione di tutti i Santi in onore del grande Gennaro31 – uno spettacolo di una piacevolezza incredibilmente rinfrancante, politeistica, di un paganesimo antichissimo. Due bande musicali, delle quali la seconda, in mezzo alla folla giubilante, accompagnava appositamente il domatore del Vesuvio, ancora funzionante, con la polka alessandrina di Strauss32. Non è possibile ottenere effetti simili neanche in sogno! Un sacerdote vestito di tutti i paramenti non ritenne al di sotto della sua dignità lanciare pietre ad un cagnolino abbaiante contro di lui, senza interrompere il suo dignitoso pellegrinaggio e le sue preghiere. In generale, una divina disinvoltura in ogni cosa!
Per cortesia, dica a Volpe33 di chiedere conto sul Times34 al «Duca di Falconara»35 del fatto che agli scavi36 a Pompei è stanziata la miserabile somma di 15.000 Lire! Le povere guide37, gente peraltro affascinante, in uniforme militare, che parlano inglese, francese e perfino tedesco 38, ricevono solo 23 Lire al mese. È proprio una vergogna39!
Ce l’ha fatta Ettore40? È di nuovo a Roma? Mi propongo di partire intorno al 10 e per due o tre giorni di molestare lui e Nino41. Le Stanze del Vaticano – non lì! A che scopo ha creato Iddio gli Inglesi?
À propos: credo che, una volta installati qui, vi si possa lavorare egregiamente. Si calunniano i Napoletani – in nessun luogo si bighellona di meno, in nessun luogo più che a Napoli si lavora con il martello o con il legno, in nessun luogo si lavora di più a rammendare e cucire.
Non faccio niente, dormo a lungo, bevo parecchio Capri, che è la migliore pianta italiana, e godo della mia buona coscienza di pensionato debuttante. Abbastanza, non è vero?
Addio, mi scriva una riga, anzi, se lo farà presto, anche una mezza riga, e non tratti con troppa infallibilità, quando tornerà da Napoli, il Suo vecchio e fedele Ex-Romeo Mercurio42











NOTE
1 Su di lui mi limito a rinviare alla monografia di W.-D. Gewande, Hans von Bülow. Eine biographisch-dokumentarische Würdigung aus Anlass seines 175. Geburtstages, Lilienthal, Eres, 2004, ed al recente volume di K. Birkin, Hans von Bülow. A Life for Music, Cambridge, Cambridge University Press, 2011.^
2 Su Jessie Laussot cfr. La Mara (alias: Ida Marie Lipsius), Liszt und die Frauen, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1911, pp. 237-245; Adolf von Hildebrand und seine Welt. Briefe und Erinnerungen, besorgt von Bernhard Sattler, München, Callwey, 1962, pp. 776-778; B.M. Antolini, Jessie Laussot: musicista e organizzatrice di cultura nella Firenze del secondo Ottocento, in Storia di una “novità”: la direzione d’orchestra al femminile, a cura di Lucia Navarrini dell’Atti, Firenze, Consiglio Regionale della Toscana, 2004, pp. 141-161; M. Storino, New Liszt Letters to Jessie Laussot, in Franz Liszt. Lectures et écritures, sous la direction de Florence Fix, Laurence Le Diagon-Jacquin et Georges Zaragoza, Paris, Hermann, 2012, pp. 131-148; D. Cormack, An Abduction from the Seraglio: Rescuing Jessie Laussot, in «The Wagner Journal», 6 (2012), pp. 50-63; infine il libro di prossima pubblicazione: Franz Liszt - Jessie Laussot: un capitolo inedito della storia musicale italiana dell’Ottocento, a cura di Mariateresa Storino, LIM, Lucca.^
3 Su di lui cfr. W. Mauser, Karl Hillebrand. Leben, Werk, Wirkung, Dornbirn, Vorarlberger Verl.-Anst., 1960, il volume degli atti del convegno tenutosi a Firenze nel 1884, a cento anni dalla sua morte: Karl Hillebrand eretico d’Europa, a cura di Lucia Borghese, Firenze, Olschki, 1986, e la mia monografia: Kultur und Politik im Zeichen des Historismus. Karl Hillebrand (1829-1884). Ein deutscher Weltbürger, in corso di stampa presso l’Istituto Italiano di Studi Germanici di Roma.^
4 C. Bache, Brother Musicians. Reminiscences of Edward and Walter Bache, London, Methuen, 1901, p. 148.^
5 A. Schopenhauer, On the Fourfold Root of the Principle of Sufficient Reason and On the Will in Nature, London, G. Bell, 1889.^
6 Il testo di questa lettera è italiano: Hans von Bülow, Briefe, Band 4, 1864-1872, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1900, pp. 544-546. Giuseppe Buonamici è il pianista fiorentino (1846-1914) che aveva studiato pianoforte prima a Firenze con Jessie Laussot. Poi, su consiglio di questa, si era recato nel 1868 a Monaco a studiare col Bülow. A Monaco Buonamici ebbe un posto al Conservatorio, ma nel 1873 decise di rientrare a Firenze. Su di lui rinvio alla voce di L. Pannella, Buonamici, Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 15, Roma, 1972.^
7 La prima dell’opera Selvaggia di Ernesto Viceconte ebbe luogo al Teatro San Carlo il 23 aprile 1872.^
8 Il teatro storico di Firenze.^
9 Il violinista e compositore toscano (1846-1912).^
10 Teatro storico di Napoli, oggi teatro Mercadante.^
11 Fanny Sadowski (1827-1906), attrice e, dal 1870, impresaria teatrale.^
12 L’attore e allestitore di spettacoli teatrali (1829-1898).^
13 Questa attrice (1844-1924), dal 1871 faceva parte della compagnia di F. Sadowski e recitava sotto la direzione di C. Rossi. Su di lei cfr. la voce di S. Sallusti, Campi, Annetta, in Dizionario Biografico degli Italiani, 17, Roma, 1974.^
14 Il librettista Leopoldo Marenco (1831-1899).^
15 La commedia Cause ed effetti di Paolo Ferrari (1822-1889) è del 1871.^
16 L’opera era stata composta alla fine del 1842.^
17 Forse allusione al fratello di Donizetti, Giuseppe (1788-1856), anch’egli musicista.^
18 Il testo di questa lettera è tedesco: Bülow, Briefe, Band 4, 1864-1872, cit., pp. 546-549.^
19 Scompiglio in italiano nel testo.^
20 Allusione scherzosa alla famosa autobiografia di Goethe, Dichtung und Wahrheit (Poesia e Verità).^
21 Maccaronopolis nel testo tedesco.^
22 Nel testo: par parenthèse.^
23 Barbiere in italiano nel testo.^
24 Teatrino in italiano nel testo.^
25 Diavolo zoppo in italiano nel testo.^
26 Vedi Pompei e poi mori nel testo tedesco.^
27 Sottosopra in italiano nel testo.^
28 Qui Bülow ricorre ad un gioco di parole intraducibile in italiano, servendosi dei due sostantivi “Kater” (= gatto maschio), “Katerconcert”, e “Krater” (=cratere), “Kraterconcert”.^
29 Allude naturalmente all’opera lirica La Muta di Portici, musicata da Daniel Auber (prima rappresentazione: 1828).^
30 L’allusione è probabilmente al finale della sonata per pianoforte n. 29, op. 106 di Beethoven (Hammerklaviersonate).^
31 È la cerimonia, detta processione di maggio o delle statue, che si svolgeva e si svolge ogni anno il primo sabato di maggio e durante la quale si portavano in processione il busto d’oro e le ampolle del sangue di san Gennaro e i busti argentei dei compatroni della città, che allora erano più di 40.^
32 Allude ad un motivo della cosiddetta Alexandrine-Polka, op. 198, di Johann Strauss junior, composta per la cantante Alexandrine Schröder nel 1857 e pubblicata l’anno dopo.^
33 Questo era il soprannome che Bülow dava al suo amico Karl Hillebrand per via del colore biondo-rossiccio dei capelli.^
34 Allora Hillebrand collaborava ancora al «Times» di Londra con corrispondenze politiche e culturali da Roma e da Firenze.^
35 Riferimento al ministro dei lavori pubblici Giuseppe Devincenzi, così soprannominato nel 1871 da Il Fanfulla per aver fatto costruire la linea ferroviaria Roma-Falconara come la più veloce per collegare Roma a Venezia. In tal modo aveva dato la preferenza alla linea adriatica rispetto a quella Roma-Firenze-Bologna. Negli anni seguenti, tuttavia, la tratta Roma-Falconara cadde in disuso. Cfr. Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, tornate del 21 dicembre 1871, dell’8 marzo e del 16 dicembre 1875.^
36 Scavi in italiano nel testo.^
37 Guide in italiano nel testo.^
38 Per indicare la lingua tedesca qui Bülow non usa il termine consueto di “deutsch”, ma quello antiquato, allora, nel 1872, totalmente in disuso, e in questo contesto assolutamente ironico, di “tüdesk”.^
39 Tutta questa breve frase è in italiano nel testo.^
40 Il violinista, compositore e direttore d’orchestra romano Ettore Pinelli (1843-1915).^
41 Allude al compositore e pianista Giovanni Sgambati (1841-1914).^
42 Nomi con i quali era scherzosamente chiamato Bülow da Jessie Laussot e Karl Hillebrand.^
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