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Il nodo europeo: crescita e sovranità. Una prospettiva neoistituzionale, oltre la dicotomia tra Stato e Mercato
di Massimo Lo Cicero
1. Il programma di Juncker

A luglio del 2014 si insedia il Parlamento Europeo e si sperimenta un rafforzamento del nesso politico tra l’organismo, eletto su base proporzionale dai cittadini delle nazioni europee, e la definizione di un mandato, da parte del Parlamento, che colleghi la presidenza della Commissione Europea ad un esponente politico che si presenti con una larga dimensione dei voti raccolti ed una solida rappresentanza del partito al quale si riferisce. I due candidati sono stati individuati nel partito Popolare Europeo e nel Partito Socialdemocratico. Jean Claude Juncker, come la maggior parte dei pronostici aveva indicato, è stato nominato presidente della Commissione Europea.
La costruzione degli organismi nei quali si articolano la struttura, e la governance delle istituzioni europee, si è stratificata nel tempo. D’altra parte, come tutti sappiamo, l’Unione Europea non ha una identità statuale, mentre la moneta unica, l’euro, non ha un legame formale con la sovranità monetaria di uno Stato. Ma se non c’è ancora uno Stato, allora non ci possono essere le articolazioni tipiche degli Stati contemporanei.
Le organizzazioni nelle quali si concentra la capacità di governo politico ed economico dell’Unione Europea sono tre, se vogliamo ridurle all’essenziale. Esiste un consiglio dei Capi di Stato e diGoverno, che rappresenta una sorta di assemblea degli Stati che partecipano all’Unione e che si esprime attraverso i rappresentanti dei governi in carica nei singoli Stati. Se la questione da discutere è strategicamente e politicamente molto importante, si riuniscono i capi di Stato e di Governo: non tutti i Governi europei hanno un capo di Stato che sia anche il capo del Governo. L’Italia ad esempio. Se, invece, si deve discutere di questioni puntuali – Bilancio dello Stato e Fiscalità – si riuniscono i ministri delle finanze e dell’economia. E così via per ogni ramo delle questioni che ogni paese assegna ai propri ministeri. In effetti il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo è progressivamente diventato la camera di compensazione tra le decisioni più significative in tempi recenti.
La prima istituzione che era stata progettata per governare il Mercato Comune Europeo e le sue conseguenze era la Commissione Europea. La commissione è una istituzione che governa un grande apparato burocratico, che produce l’insieme delle azioni, pubbliche e politiche, riconducibili all’Unione Europea. I Commissari sono scelti dai Governi e sono ormai molto numerosi perché si sono moltiplicati al crescere delle adesioni all’Unione Europea. L’adesione della Croazia, il 1° luglio 2013, ha portato a 28 il numero dei paesi membri ed anche, di conseguenza, quello dei Commissari.
La presidenza della Commissione, attesa la numerosità dei commissari, diventa quindi uno strumento di coordinamento ed indirizzo della politica dell’Unione, che non deve essere sottovalutato ma che deve anche avere incisività, esperienza e capacità di coordinamento per chi ne assume la titolarietà.
Nel 2004 il crollo dell’Unione Sovietica aveva allargato le maglie dell’Unione Europea, che aveva accettato di includere larga parte delle nazioni satelliti dell’impero sovietico. È nato una sorta di doppio club: il club monetario, i paesi che utilizzano l’euro, ed il club commerciale, l’insieme dei paesi che usano il mercato unico ma, per alcuni di essi, non sono ancora stati definiti i parametri idonei ad entrare nell’area dell’euro1. La Commissione, si può dire provocatoriamente, somiglia ad un Governo, rispetto all’Unione che non somiglia ancora ad uno Stato, ma non è eletta da un Parlamento, perché sono i Governi degli Stati nazionali che designano i propri commissari.
Con la innovazione dell’individuazione del presidente attraverso il parlamento Europeo, Juncker è il primo che sperimenta questa pratica.Dovrà coordinare e raccordare i vari commissari mediante una negoziazione con i Governi e le loro candidature. Questo è il risultato dell’ultima e recente elezione del Parlamento Europeo – una istituzione che è la terza articolazione del processo di convergenza verso una possibile sovranità condizionata dalle elezioni popolari – perché era stato stabilito che il personaggio politico, che avrebbe ottenuto più voti nella competizione parlamentare, avrebbe dovuto ottenere la presidenza della Commissione.
I due maggiori competitor, come si è già detto sopra, erano Juncker – una robusta cultura politica di indirizzo cattolico, nato e cresciuto politicamente in Lussemburgo, dove è stato capo del Governo nel 1995, oggi militante nel partito popolare europeo dopo una lunga esperienza anche alla guida di molte istituzioni internazionali – e Schulz. La carriera del quale, invece, comincia iscrivendosi, a 19 anni, nel Partito Socialdemocratico tedesco. Nel 1991 viene nominato membro del consiglio nazionale del partito. Nel 1999 entra nell’ufficio di presidenza e nel direttivo federale dell’SPD. Nel precedente Parlamento Europeo ne era il presidente.
Una carriera molto politica, che si sviluppa nelle gerarchie del partito socialdemocratico, quella di Schulz; una carriera di potere e di governo, da cattolico liberale, quella di Juncker. Molto datata e molto tradizionale. Coerente con la sua formazione conservatrice in un piccolo Stato, che lo ha proiettato ai livelli internazionali, dopo una intensa esperienza ministeriale culminata con la presidenza del suo governo nazionale, in un mondo che precede certamente la riunificazione delle due Germanie e la nascita dell’euro. Vicende alle quali Juncker ha partecipato, tuttavia, proprio in ragione della sua proiezione sulla scena internazionale, oltre e dopo l’esperienza della presidenza del consiglio dei ministri nel suo governo nazionale.
Un uomo politico di stampo governativo, che, di fronte alle sfide di oggi, si presenta abbastanza radicato in schemi e comportamenti da conservatore ed in una cultura politica abbastanza legata alla tradizione ed al passato, soprattutto ad un approccio monetarista e liberale della politica economica. Sull’altro fronte, in contrapposizione a Juncker, c’è un uomo di partito: legato al processo dell’euro ma anche alla singolare circostanza di un vincolo pesante. Il fatto che questo processo sia stato sistematicamente diretto dall’azione politica della Germania ed, in particolare, dal Partito Popolare della Germania, del quale è oggi protagonista la Merkel, autorevole ed abile capo del Governo ma anche capace di aver trovato una convergenza, nella maggioranza che sostiene il suo governo, tra la cultura politica cattolica e quella della socialdemocrazia tedesca.
La nomina di Juncker rappresenta l’ennesimo tributo a questo impianto che disegna il perimetro politico dell’Unione Europea: i popolari come asse che difende una politica monetarista; gli Stati europei, gli “azionisti” dell’Unione – si consenta questa espressione giornalistica e non certo giuridicamente fondata – che guidano i due club, quello monetario e quello commerciale. Ed infine la difficile sfida per riportare le economie europee verso la convergenza invece di accentuarne la divergenza, data la mancata esistenza di una condivisa sovranità tra le nazioni che anticipi la nascita di una entità politica futura.
C’è una quarta istituzione che si occupa dell’Europa ma sotto un profilo assai diverso da quello della creazione di una entità politica. Si tratta della Banca Centrale Europea e della politica monetaria che essa governa e che si estenderà presto anche alla vigilanza sulle banche europee transfrontaliere. La BCE, una importante istituzione monetaria, è un consorzio tra le banche centrali dei paesi che adottano l’euro. Ma ha un comitato ristretto di amministratori indipendenti, anche dalle nazioni da cui provengono, che governa la politica monetaria. Le riunioni dei Capi di Stato e di Governo, da molti anni, ed ancor più da quando si è allargata l’Unione, pretendono invece di dirigere i processi attraverso la leadership dei paesi forti: non solo per la forza politica che essi hanno, evidentemente, ma anche per la coesione e la coerenza che cercano di imporre, non sempre con soluzioni convincenti, agli altri paesi. L’allargamento, a partire dal 2014, infine, ha diluito troppo la capacità della Commissione.
Una capacità che si ripiega su ognuno dei commissari per la estrema frammentazione delle materie, una per ogni nazione dell’Unione, più o meno. Ora che è stato eletto, e che deve comporre uno schema di lavoro ed una squadra affidabile per la propria Commissione, Juncker non si dovrebbe ripiegare sulla sua carica, come una sorta di traguardo finale di una carriera politica intensa ma anche fin troppo datata, rispetto alle innovazioni che bisognerebbe introdurre nell’Unione Europea. Una fra tutte la ricerca di una sovranità condivisa, e non solo concertata dai capi di Governo nell’interesse egoistico del proprio paese, tra le nazioni ed i mercati: perché possa rinascere la crescita, e lo sviluppo economico, nel vecchio continente.
Ad oggi abbiamo solo un documento programmatico di 13 cartelle che Juncker propone come debutto della sua presidenza alla Commissione Europea: una ipotesi di lavoro che non sembra particolarmente entusiasmante. Non basta un riferimento all’economia sociale di mercato per riaccendere la speranza e, subito dopo, la individuazione degli strumenti per avviare la crescita dell’Unione Europea e dei mercati mondiali. Ed è strana questa circostanza: visto che il percorso per condurre Juncker alla presidenza era stato preparato con cura. C’era tempo per fare di meglio nella presentazione del suo programma2. La sensazione di routine e procedure, che si collegano al passato per accennare ad innovazioni molti tiepide per il futuro, aleggia pesante. Di fronte ad un problema complesso, insomma, la descrizione programmatica delle sue intenzioni appare debole. Secondo Juncker «il pericolo peggiore è stato scongiurato» dopoche «l’Europa è stata investita da una delle più gravi crisi finanziarie ed economiche dalla seconda guerra mondiale». Ed aggiunge: «Le misure realizzate si sono rivelate efficaci ma il percorso non è stato privo di errori». Una diagnosi singolare. Mario Draghi, affermava il 25 marzo a Parigi, in un convegno che si teneva a Sciences Po, quasi il perfetto contrario:
descriverò lo sviluppo iniziale della crisi, illustrando come le scelte effettuate sotto la pressione degli eventi, pur buone in sé, sono state sviluppate in una sequenza che si fondava nell’ordine sbagliato e hanno reso più difficile affrontare le conseguenze dell’eccesso di debito. Questo ha interagito con le caratteristiche della struttura istituzionale della zona euro con l’effetto di rinviare la ripresa. Successivamente, descriverò come la giusta sequenza di passi, sviluppata dopo il giugno 2012, quando fu concordato il progetto di unione bancaria, ha rimesso l’area euro su una traiettoria di ripresa. Il primo passo è stato ‘riavviare’ il sistema finanziario, che è condizione necessaria per una ripresa sostenuta, non da ultimo perché aiuta la politica monetaria a gestire la domanda aggregata.Ma non è condizione sufficiente: le riforme strutturali, che innalzano il livello della crescita potenziale, sono una parte altrettanto importante della strategia di ripresa. Nel descrivere questa strategia, non parlo solo al passato ma anche al presente e al futuro. La crisi non è finita. Per avere successo, la strategia di ripresa deve continuare ad essere seguita con impegno e costanza3.

Juncker, di questo bisogna dargli atto, nella seconda parte del suo ragionamento inserisce nel suo programma la creazione di una Unione Bancaria – il piatto forte di un manifesto che annuncia una radicale riproposizione della politica economica contro la crisi – anche perché quel manifesto, che nel giugno del 2012 viene proposto all’Europa e si intitola Towards a genuine economic and monetary Union, ed è firmato da Van Rompuy e da Draghi, Barroso e Juncker stesso!
Mentre il suo attuale manifesto programmatico si presenta come un programma per l’occupazione, la crescita, l’equità ed il cambiamento democratico. Sembrano, quelli di Juncker, quattro obiettivi.
In effetti, mettendoli in ordine logico, servono radicali riforme economiche, nei vari paesi europei, per far convergere le economie e ridurre gli squilibri relativi, tra le bilance dei pagamenti ed i deficit pubblici. Dunque gli strumenti sono i cambiamenti da introdurre nelle economie delle nazioni aderenti all’Unione, in termini di politiche economiche e di finanza pubblica, ma anche sui temi del mercato del lavoro e della concorrenza. Se questo avvenisse, si avvierebbe la crescita, che genera equità e sviluppo ed allarga i livelli di occupazione riducendo la disoccupazione. L’occupazione, insomma, è il sigillo conclusivo e non si crea certo solo con investimenti pubblici. Anche in questo caso, tuttavia, c’è una dissonanza positiva nello schema Juncker. Dopo l’exploit iniziale sull’occupazione come obiettivo egli avanza l’ipotesi di allargare il capitale della Banca Europea degli Investimenti, per consentire una maggiore raccolta di risparmio, grazie all’aumento delle obbligazioni che la banca potrebbe emettere avendo incrementato il proprio patrimonio, anche fuori dall’Europa. In questo modo si potrebbe dare un’accelerazione ai grandi investimenti nelle infrastrutture telematiche ed energetiche e nelle nuove tecnologie. Juncker, insomma, dice di collocarsi nel campo dell’economia sociale di mercato ma somiglia, a volte troppo spesso, alla continuità burocratica del quieta non movere.Guarda piuttosto al sistema della burocrazia, e delle organizzazioni europee, e non alla qualità ed alla strategia che dovrebbe avere l’economia europea: sostenuta da un impatto robusto che conduca ad una sovranità politica condivisa. Non basta dire che «le istituzioni europee collaboreranno con gli Stati membri, in linea con il metodo comunitario». Anche perché l’acquis communitaire è un comportamento ed una iterazione delle prassi: non è ancora maturo per definire i tempi ed i modi di un ritrovamento della sovranità politica alla scala dell’Unione, rispetto alla cessione di sovranità che i singoli stati stanno realizzando. La cessione della sovranità monetaria, in effetti, non avendo ricostruito una sovranità condivisa alla scala dell’Unione, ha visto entrare nel parlamento Europeo una quota importante di personale politico che non accetta e rifiuta l’esperimento della moneta unica.
Mancano a Juncker una dimensione strategica ed una comunicazione più efficace del dove andare e perché, nella scena internazionale e nella rivisitazione del mercato unico. Ci sono, infine, alcuni punti di dettaglio che potrebbero diventare delicati: la legalizzazione delle migrazioni, la tutela delle frontiere europee, l’arresto del processo di allargamento dell’Unione per i prossimi cinque anni, l’attenzione ad un accordo di libero scambio con gli Usa, la trasparenza verso lobbisti ed altri portatori di interesse, il rispetto della parità di genere nella burocrazia europea.
Manca, stranamente, come abbiamo richiamato prima, un problema importante, non che questi non lo siano: la difficile gestione di una ripresa economica in Europa e del consolidamento tra moneta, banche ed industria finanziaria per supportare davvero la crescita e, quindi, l’occupazione e l’equità. Manca anche il richiamo ad una politica per arginare le forze, che siedono nel Parlamento europeo, e si oppongono al completamento del mercato e della moneta unica, nel solco di una Unione che si presenti con una sovranità politica condivisa. Mentre solo questo esito, la sovranità politica condivisa, potrebbe dare all’Unione una prospettiva mondiale. Le economie sociali di mercato, prima o poi, diventano chiuse in se stesse e preda dei corporatismi4, che sono, in parte, anche il lato oscuro del welfare e dell’associazionismo sindacale ed imprenditoriale.


2. Si fa presto a dire Crescita: linguaggi, numeri, analisi delle diagnosi e delle terapie
si sovrappongono


I numeri sono necessari per capire lo stato dell’economiama non sono sufficienti. Un termometro indica la temperatura ma non aggiunge molto alla diagnosi, ed ancor meno, alla terapia del paziente.
La medesima cosa avviene in economia. L’ossessione della misura confonde le idee ed aumenta l’incertezza sul futuro: scoraggiando gli investimenti e riducendo la ripresa della crescita. Il cerchio si chiude, tuttavia, anche grazie all’asimmetria dei significati con cui, in economia come nella medicina, si confrontano paziente e medico, consumatori ed imprese piuttosto che Banche e Governi.
Siamo di fronte ad una sorta di rovescio della medaglia, la politica dell’Unione Europea non si presenta all’altezza delle sfide relative alla costruzione di una sovranità condivisa che possa governare i processi di crescita. La discussione economica sugli strumenti idonei per governare la crescita non sembra convergere su basi accettabili e condivisibili per essere utilizzate dai Governi nazionali e dagli attori economici: banche ed imprese, sindacati ed associazioni imprenditoriali, autorities che possano compensare gli squilibri dei mercati e garantire percorsi competitivi nelle dinamiche economiche.
L’Italia è al centro, in Europa, di un groviglio dove si sovrappongono i linguaggi, i numeri e l’analisi delle diagnosi e delle terapie.
Non siamo ancora in una Torre di Babele ma ci si arriva molto vicino. La comunicazione incalza sui numeri; il confronto tra politica ed economia oscilla tra crescita e riforme: ma non si capisce bene quali riforme dovrebbero essere decisive e come la crescita possa essere alimentata, se i numeri si presentano, mensilmente, come un’altalena. In Italia l’indice generale della produzione industriale, nel 2010 era a quota 100. Da ottobre del 2012 al maggio del 2014 ha oscillato tra 91,6 a 90,8; è arrivato, un paio di volte a 92,3.
Francamente si tratta solo di un indice stagnante da due anni, certamente più basso di quanto fosse quotato nel 2010. Calma piatta e niente ondate oceaniche negli ultimi due anni.
Ma veniamo all’interpretazione possibile di diagnosi e terapie.
Da una parte sappiamo che la disoccupazione raggiunge una quota molto alta della popolazione. Dall’altra sappiamo che la produzione resta stagnante. La diagnosi spiega che non esiste una pressione adeguata sulla espansione della produzione, anche perché la domanda effettiva viene compressa dall’austerità fiscale. D’altra parte, se i disoccupati rientrassero nel mercato del lavoro ci sarebbe un percorso di crescita più alto rispetto alla produzione stagnante. Lo scarto tra il profilo stagnante e la crescita è un potenziale output che non riusciamo a generare. Keynes diceva che ci riducevamo a costruire baracche perché avevamo dimenticato come si costruiscono le cattedrali5. Una politica monetaria espansiva, nelle opinioni più volte espresse da Mario Draghi, potrebbe comprimere l’output gap, lo scarto che manca alla ripresa della crescita, e creare, di conseguenza, un percorso che possa assorbire i disoccupati6.
Ecco una ipotesi di terapia: la politica espansiva aziona le banche, crescono gli investimenti e si ottiene la crescita.
Ma purtroppo le imprese italiane sono troppo piccole, e le banche devono ridurre il loro indebitamento e cancellare le proprie sofferenze: quindi non basta solo una politica monetaria espansiva.
Serve anche una industria della finanza: che possa offrire alle imprese il mancato credito che le banche non riescono ad offrire in questa congiuntura. Questa industria della finanza non è diffusa in Italia e sarà necessario aumentarne le dimensioni perché, come dice anche Draghi, le banche in futuro dovranno tornare ad agire sulla relazione tra depositi e crediti lasciando ad altre organizzazioni la gestione di obbligazioni ed altri strumenti di trasferimento tra risparmio ed investimenti: che non transitano dai canali bancari.
La ipotesi di Draghi è una terapia, evidentemente.Ma prescrive anche una cura: se i disoccupati devono rientrare nel mercato servono dei farmaci adeguati. Servono riforme economiche, non istituzionali.
La riforma del mercato del lavoro, la riforma dei sistemi bancari e dell’industria finanziaria, la riduzione drastica di molte inutili authority ed il potenziamento e la tutela della competizione, che è un bene pubblico e non si risolve, come spesso accade, solo nella tutela dei consumatori. E qui interviene il linguaggio, ed il suo significato. Le riforme economiche sono la spinta per la crescita; il loro effetto è la riduzione dell’output gap ed il ritorno ad un livello fisiologico della disoccupazione.
Le riforme istituzionali sono un’altra cosa, molto diversa: leggi elettorali, modifiche degli organi parlamentari, abolizioni delle organizzazioni pubbliche ridondanti.Questo riordino dell’assetto istituzionale del nostro paese non interessa assolutamente all’Unione Europea. Nell’Unione ci sono regni e repubbliche; vari e diversi assetti di governo. Perché il governo di ogni nazione rimane affidato a se stesso. Ed è responsabile, nell’ambito dei suoi strumenti istituzionali, di generare un processo di convergenza tra le economie in termini di prezzi e redditi, di produttività e di efficienza nel mercato del lavoro, di riordino delle competenze e delle sfere di azioni tra credito e finanza. Mentre le riforme economiche sono quelle che dovrebbero creare una maggiore convergenza, ed una maggiore mobilità reciproca degli attori, tra le economie europee.
Se il governo italiano sovrappone le riforme economiche con quelle istituzionali crea due problemi: le vischiosità delle corporatismo nazionale impediranno la trasformazione del sistema economico in una chiave più competitiva e più efficace; l’iter più rapido delle riforme istituzionali potrebbe, invece, accelerare le elezioni politiche, per allargare il consenso parlamentare e ridefinire la struttura del governo. Stretto tra le due lame della forbice, il governo italiano potrebbe scontare, nei prossimi mesi, una ridotta capacità di affiancarsi alle nazioni europee più forti, per allargare la terapia della crescita. Mentre il ritorno della crescita ridimensionerebbe anche lo squilibrio finanziario del debito, e del deficit corrente, sul pil.
Una crescente incertezza si allarga sull’orizzonte economico del nostro paese alla fine di luglio nel 2014. Ma anche nel resto dell’Europa e del mercato globale.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale siamo in presenza di una singolare congiuntura: An Uneven Global Recovery Continues7. Dove sta andando, e come, l’economia mondiale? Aumenta l’incertezza e si divaricano i percorsi della crescita. La ripresa della crescita nel mercato globale, insomma, continua ma in maniera asimmetrica, forse sbilenca. Questo è il giudizio del Fondo Monetario internazionale, annunciato da una correzione del quadro macroeconomico il 25 luglio 2014: rettificando un documento precedente rilasciato in aprile. È una buona pratica – che il Fondo ha iniziato da tempo – perché genera una informazione molto sintetica, quattro cartelle in Acrobat, che presentano una modifica delle circostanze. Una svolta che, tempestivamente rivelata, aiuta i Governi e le imprese mondiali a correggere e rivedere le proprie scelte.
Partiamo dai numeri. La produzione mondiale diminuisce dello 0,3% rispetto al dato pubblicato nell’aprile del 2014 ma non presenta scarti per il dato previsto nel 2015: 3,4% nel 2014 e 4% nel 2015.
Una progressiva espansione delle dimensioni della crescita che, purtroppo, si affianca ad un aumento dell’incertezza futura, che deriva dal disordine con il quale si spostano i dati delle singole economie nazionali. L’insieme delle economie avanzate avrebbe dovuto crescere, tra il 2014 ed il 2015, prima ad 1,8% e poi al 2,4%, secondo la proiezione dell’aprile 2014. Ed invece, a luglio, il Fondo Monetario ci dice che, nel 2014 ci sarà una caduta dello 0,4% e nell’anno seguente un aumento dello 0,1%. I dati di aprile erano calcolati anno su anno, cioè con valori medi annuali: i dati di luglio sono calcolati sul quarto trimestre del 2014, rispetto al quarto trimestre del 2013, e sul quarto trimestre del 2015 rispetto a quello del 2014. Sono variazioni marginali e non variazioni medie annuali. E questo risultato delle economie avanzate dimostra che la crescita dovrebbe accelerare nel 2015.Ma questo piccolo segnale (0,1% di scarto) è solo la media di variazioni che vanno in direzioni diverse tra le nazioni più importanti, nell’insieme delle economie avanzate.
Gli Stati Uniti crescono più rapidamente nelle medie marginali, trimestre su trimestre, rispetto alle medie annuali ed arrivano nel 2015 ad una crescita (marginale) del 3%. Anche la Germania migliora e, nel 2015, si porta ad 1,8%. Non aggancia gli Usa ma li segue con un certo slancio. La Francia perde terreno, nella media marginale rispetto a quella annuale, e nel 2015 si limiterà ad 1,6%. Anche l’Italia rallenta, come la Francia ed oltre, con 1,2% mentre la Spagna aumenta con una media annuale di 1,6% ma ha anche una media marginale di 1,5%. Giappone, UK e Canada, e tutte le altre economie avanzate minori, aumentano la dimensione della media marginale rispetto alla media annuale nel prossimo biennio (2014/2015).
Questa è la spiegazione del disordine asimmetrico dentro l’area euro. Mentre anche le economie emergenti, come Brasile, Russia, India e Cina, si scompongono tra loro: Cina ed India mantengono un ritmo marginale del 2015, che le porterà a 6,4% ed al 6,8% rispetto al 2014. Brasile e Messico affannano, come la Russia. Seppure per motivi diversi: geopolitici per la Russia, ad esempio, mentre in altri casi l’affanno economico deriva dai rallentamenti sui mercati in cui operano i paesi emergenti, come nel caso dell’energia e delle materie prime. Molti capitali, grazie alla dimensione mondiale dei mercati finanziari, vengono ricollocati nelle economie avanzate, tornano in nazioni strutturate anche se lente nella crescita, prima l’Italia, ad esempio. Ed abbandonano le economie emergenti di fronte a problemi di natura geopolitica od a conflitti militari.
Esiste un disordine asimmetrico molto robusto anche nell’ambito del vecchio continente. L’Italia e la Francia, che hanno affrontato il proprio risanamento senza avere il tutoraggio della BCE e del Fondo Monetario, sono ancora incerte e titubanti rispetto alle proprie capacità di crescere. La Spagna e la Grecia, che quel rude tutoraggio hanno subito, si riaffacciano sulla scena. Ma, per come sono messe le cose, l’area dell’euro appare critica per se stessa: la ricetta ortodossa dell’Unione Europea implica che ogni nazione debba rimettere in ordine i propri conti pubblici e debba riorganizzare i mercati del lavoro, e l’efficacia della pubblica amministrazione, per aumentare la capacità di competere sui mercati internazionali, aumentando le esportazioni. Incrementando la propria produzione grazie alla domanda effettiva delle economie emergenti.
Certamente, in Europa, se si aumenta la pressione fiscale, per ridimensionare flussi di spesa pubblica e stock di debito pubblico, non ci sarà domanda effettiva sul mercato interno8. Il caso italiano è emblematico. Se la politica della Commissione – che dovrà rilanciare la crescita in Europa – non supera questa segmentazione delle economie interne, che impone ad ogni economia di autoridursi sul mercato interno per arrivare alle esportazioni, ne vedremo delle brutte.
Le economie fragili come Italia e Francia non avranno possibilità di salvarsi da sole, senza sovranità monetaria e con un eccesso di restrizione fiscale. Le economie che non hanno problemi di natura monetaria, cioè sono incluse nel mercato unico ma non nella moneta unica, cresceranno rapide: divaricandosi da quelle fragili che scontano i problemi fiscali e monetari.
La Germania si aggancerà al mercato mondiale grazie alla sua capacità tecnologica che le consente di incrementare la produttività ma anche grazie ad un mercato del lavoro che si presenta più duttile e più articolato nelle soluzioni che può proporre ai lavoratori e i percorsi di mobilità tra le imprese che si possono realizzare. Bisognerebbe riprendere, insomma, il motto dei moschettieri: uno per tutti e tutti per uno. Se si vuole davvero rimettere in moto il mercato unico europeo e fare dell’euro una moneta ragionevolmente praticabile. La politica monetaria espansiva manifestata da Draghi ha già dato un ridimensionamento del cambio con il dollaro. Comprate europeo dagli europei e ridimensionate la pressione fiscale in Europa, diluite nel tempo o cedete una quota dello stock di debito.



3. Dove stanno andando, e perché, Europa ed Italia

Facciamo un piccolo passo indietro e torniamo all’aprile del 2014.
Il Fondo Monetario Internazionale rilascia il World Economic Outlook (WEO): indicando un rafforzamento della crescita che si accompagna ad un certo disordine: una disuguaglianza delle condizioni e della intensità tra le varie economie del mercato globale.
Dopo la riunione del Consiglio Direttivo del 3 aprile, Mario Draghi riepiloga lo stato dell’Unione Europea ad Amsterdam, il 24 aprile 20149. Parla ad un convegno dedicato alle banche di lunga tradizione ed agli ultimi due decenni: un approccio di lungo periodo, che collega il passato remoto ed il passato prossimo dei sistemi bancari.
Il tema del convegno è chiaro: “Conference De Nederlandsche Bank 200 years: Central banking in the next two decades”.
Il testo dell’intervento di Draghi è ancora più esplicito: Monetary policy communication in turbulent times, la comunicazione della politica monetaria durante tempi turbolenti. Amsterdam, e la cultura olandese, offrono a Draghi una singolare metafora, mutuando la notoria abitudine delle famiglie, nei Paesi Bassi, di non chiudere o velare le finestre e, dunque, di essere abituati alla trasparenza:
As you know well, this country has a long history of transparency –households in the Netherlands are renowned for keeping open their curtains. The classic explanation is that people do this for the benefit of others:with nothing to hide, they are happy to grant passers-by a look inside. Another explanation I have heard is that people do it for themselves: in dark Northern European climates, they simply want to let more light into their houses. But whatever the motivation, what matters is that an open curtain benefits both those on the outside and those on the inside. The same is true for us as central banks. A transparent central bank serves the general public, by improving understanding of its actions and accountability for its decisions. And a transparent central bank contributes to its own mission, by steering expectations and making its monetary policy more effective. Let me therefore begin by explaining how central banks across advanced economies, and the ECB in particular, have taken up the challenge of transparency and openness.

Il corsivo è di chi scrive mentre il punto di partenza dell’analisi di Draghi è la stagione che lo ha visto protagonista del recupero sulla seconda fase della crisi finanziaria mondiale, apertasi nel 2008.
Un recupero che inizia quando, nel 2011, egli assume il compito di presidente della Banca Centrale Europea: dopo il picco discendente della crisi, ed una modesta ripresa, la crisi stessa si accavallava tra sistema bancario e debiti degli stati sovrani, generando un marcato profilo di recessione e stagnazione nell’economia mondiale.
Un profilo che, ad oggi, rimane particolarmente critico nell’Unione Europea, nell’area dell’euro ed in Italia.
L’elenco delle tre economie è posto in ordine discendente.
Essendo l’Unione Europea divisa tra l’area euro e le economie che crescono nello spazio del mercato unico incluso nell’Unione; economie che crescono grazie alla dimensione del mercato unico, alla ridotta pressione fiscale, alla compatibilità tra prezzi e salari sui mercati domestici delle singole nazioni incluse nell’Unione ma non nell’area dell’euro. Anche l’area euro risulta divisa: tra le economie della Germania e del Nord Europa e quelle della Europa latina; una divisione che genera un singolare impatto sul cambio dell’euro verso il dollaro, cambio che sarebbe più alto se non ci fosse l’Europa latina mentre, per quelle economie dell’Europa latina, quel cambio è insostenibile rispetto alla possibilità di esportare mentre la pressione fiscale deprime il mercato domestico delle stesse. Va da se che la Germania, e le economie del Nord hanno una produttività più alta che consente esportazioni ed accumulo di riserve. Da ultimo c’è il caso dell’economia italiana, dove la ulteriore divisione tra questione meridionale e questione settentrionale rende ancora più marcata la fragilità dell’economia italiana come un tutto. In altri termini la nostra economia rimane paralizzata dalle differenze e dai problemi che sono le radici profonde di quella divisione. Senza contare un ulteriore ostacolo: la diffidenza reciproca tra Nord e Sud e la incapacità del Mezzogiorno, oggettiva e soggettiva, di non essere adeguatamente rappresentato, sia sul piano economico che su quello politico, all’interno del nocciolo duro delle classi dirigenti, nonostante rappresenti un terzo della popolazione nazionale.
Allo stato delle cose, purtroppo, l’Europa, anche grazie alle molte divisioni che la segmentano, presenta una debole opzione ed una elevata fragilità nell’intraprendere un percorso di ripresa ed una stagione di crescita di medio periodo. Mentre deve rivisitare necessariamente le proprie istituzioni dedicate al benessere ed ai servizi necessari alle proprie popolazioni e trovare un equilibrio tra le partnership possibili in altre economie ed, ancora, la riorganizzazione e la convergenza tra le economie che sono al suo interno.
Senza il raggiungimento di queste tre condizioni l’Europa non potrà avere una crescita su se stessa e neanche una adeguata partecipazione alla crescita mondiale. L’Europa potrebbe anche subire una deprimente contrazione dei livelli di sviluppo che aveva raggiunto negli ultimi due secoli.
La conferenza di Draghi ad Amsterdam parte dalla rivoluzione nello stile della comunicazione per le banche centrali ed, attraverso questa rivoluzione, indica gli strumenti necessari per dare un solido fondamento alla crescita futura dell’economia europea ma anche una diversa ottica di integrazione tra gli attori dell’economia che, possa tradursi non solo in crescita ma anche in una dimensione che vada oltre l’espansione quantitativa delle merci e dei servizi ma possa arrivare a nuove forme di sviluppo e di benessere. Senza le quali non si riesce ad ottenere neanche una crescita più rilevante.
Le parole, nella comunicazione, hanno un significato ed un senso.
E le tre parole che abbiamo davanti, e con le quali dobbiamo fare i conti, sono queste: Ripresa, Crescita e Sviluppo.
La Ripresa dipende dal circuito reddito spesa. È un fenomeno di periodo assai breve. Come dice Krugman, o qualsiasi economista keynesiano che si rispetti: «la vostra spesa è il mio reddito, la mia spesa è il vostro reddito e se tutti cerchiamo di ridurre le spese nello stesso momento il risultato è una depressione. Qualcuno deve farsi avanti e spendere quando gli altri non spendono, e questo qualcuno può e deve essere il Governo»10.
Ecco perché gli ottanta euro del Governo Renzi, se fossero stati impiegati in consumi, avrebbero dato una spinta importante, di sistema e non certo di sostegno alle persone singole, per riavviare il circuito tra spesa e reddito. Dato che la pressione fiscale, in Italia, ha strangolato letteralmente il mercato domestico mediante l’inasprimento di imposte, tasse e tariffe che hanno compresso la spesa delle famiglie. La Crescita è un’altra cosa ma si avvia solo se, in via preliminare, si mette in moto e si allarga il circuito del reddito e della spesa. La Crescita si genera nel medio periodo mentre quel circuito vive di breve periodo. Nel breve periodo il consumo e l’investimento sono due componenti della domanda: domandano consumo le famiglie, domandano investimenti le imprese per cambiare impianti e tecnologie od assumere persone.
Ma queste scelte – dopo una lunga recessione ed in presenza di una elevata incertezza, che scoraggia l’investimento dei patrimoni familiari, anche di quelli imprenditoriali – le imprese possono farle solo a condizione che le banche scelgano di finanziare quella domanda di investimenti. Dunque la condizione necessaria della crescita deve essere una capacità finanziaria adeguata per ottenere investimenti, che producano reddito ragionevolmente. Ma questo è ovvio.
Il fatto è che se non si manifestano opportunità di investimenti, se il circuito reddito spesa si avvolge al ribasso, allora non si possono neanche assumere nuovi lavoratori. Cambiare le regole del mercato del lavoro è necessario ma serve anche che si mettano in moto gli investimenti. E questo mettersi in moto degli investimenti diventa la condizione sufficiente che fa scattare la fiducia nella crescita.
Le imprese e le banche devono creare relazioni reciproche di fiducia, le imprese e le famiglie altrettanto, per ottenere l’aumento dell’occupazione, mentre le famiglie che consumano alimentano la spirale positiva della crescita. Una spirale che richiede anche una relazione tra risparmio ed investimento.
La crescita riguarda il periodo lungo e non la dimensione breve, inferiore ad un anno, del rapporto tra spesa e reddito. L’investimento, nella dimensione di periodo lungo, non rappresenta più una componente della domanda aggregata, la domanda effettiva, ma diventa un incremento del capitale, capace di espandere l’offerta aggregata. Questa nuova offerta aggregata viene assorbita da un domanda aggregata, più ampia perché generata dagli effetti moltiplicativi del circuito reddito spesa.
La propensione al risparmio, insieme allo sviluppo tecnologico, genera una offerta aggregata che possa riequilibrare la propria dimensione con quella che corrisponde alla espansione della domanda aggregata: assorbendo il risparmio disponibile e riducendo la disoccupazione. La Ripresa economica, ed i mercati finanziari, generano la Crescita e quest’ultima, avendo aumentato la dimensione della ricchezza e ridotto la disoccupazione, offre la possibilità, grazie alla redistribuzione dei redditi ottenibili dalle imposte e dalla spesa pubblica, di trasformare l’economia adeguandola non solo alla crescita della ricchezza ma anche alla giustizia sociale. Questa terza ed ultima trasformazione determina lo Sviluppo della comunità allargando gli effetti, meramente quantitativi, della crescita economica.
Ma torniamo alla politica monetaria delle Banche Centrali ed al modo in cui quelle banche possono utilizzare come strumento, per la riattivazione della crescita, anche la comunicazione e la indicazione di un futuro possibile: il foreward guidance.
L’efficacia di una politica monetaria che venga annunciata, e della quale la Banca Centrale si impegna a farsi carico, aumenta l’efficacia delle conseguenze indotte dalla sua applicazione.
Questa maggiore efficacia, nel conseguimento dei traguardi attesi, migliora la efficienza dell’economia e dei mercati nel loro complesso.
Up until the early 1990s, central banks tended to be rather secretive institutions, inclined to lock away their thinking like the gold in their vaults…Moreover, we have recognized that, in a market economy, transparency and communication are central to the effectiveness of our monetary policy… Together, a credible objective and a wellunderstood reaction function allow financial markets and the public to form reasonable expectations about our future interest rate policy. This in turn gives us the capacity to influence interest rates at longer maturities and steer broader financial and economic conditions. This is what Mike Woodford has called “management by expectations”. In the pre-crisis times, these expectation effects worked relatively smoothly… In crisis conditions, however, the implementation of monetary policy inevitably changed. We were forced to turn to unconventional measures to fulfill our mandate.

Questa sincopata sintesi dell’impianto analitico di Draghi conduce alle due ragioni che portano alla necessità di misure non convenzionali quando l’incertezza del futuro e la profondità della crisi impediscano un regime stabile di gestione della relazione tra politica monetaria e mercati, tra stabilità della moneta e dei sistemi bancari, tra la politica monetaria, gli sviluppi del credito bancario e le transazioni nei mercati finanziari. Quando queste ultime, le transazioni tra stock moneta e stock di titoli, prevalgono sulla dimensione dei flussi di trasferimento dal risparmio all’investimento, l’economia si trova nella trappola della liquidità. In un contesto nel quale cade la fiducia ed aumenta l’incertezza nel sistema. Ripristinare le condizioni della fiducia, e costruire l’aspettativa della crescita, è esattamente il compito delle banche centrali durante la fase della crisi.
Le misure non convenzionali sono gli strumenti necessari per ottenere un simile risultato. Annunciare la natura e la intensità di tali strumenti è il compito di una comunicazione della politica monetaria che vada oltre la chiusura dell’oro relegato nelle volte coperte dal segreto, che Mario Draghi ricorda nell’ultima citazione che abbiamo riportato.
Con il motto Whatever it takes, alla fine del 2012, Draghi, propose una comunicazione che rendeva implicito l’impegno a fare seguito in quella direzione. In questo modo chiuse definitivamente la questione di un rischio di scomparsa per la moneta unica: una sorta di implosione inevitabile, per come era stata descritta.
Ma sono intervenuti, da quella data ad oggi, nuovi elementi che modificano il quadro della situazione e, rispetto ai quali, sono ben altri, ma altrettanto pericolosi i rischi che potrebbero compromettere la crescita europea.
Il rallentamento della crescita nei paesi emergenti riporta ingenti capitali finanziari verso l’Europa ma questa circostanza rischia di fare aumentare il cambio tra euro e dollaro mentre molte economie tendono a deprezzare il dollaro, come moneta internazionale, per sviluppare comportamenti di tipo mercantilistico in una logica da accelerazione delle vendite nel breve periodo. Un ritorno alla svalutazione competitiva.
L’incertezza e la volatilità del contesto moltiplicano le variabili strategiche che la BCE deve monitorare: non solo l’inflazione ma anche i cambi. Sapendo che per entrambi non esiste una possibilità di controllo diretto della banca ma di reazione indiretta relativamente alle cause che generano instabilità nei tassi di cambio e nella dinamica dell’inflazione europea.
The exchange rate is not in itself a policy target, but a rise in the exchange rate, all else being equal, implies a tightening of monetary conditions, a downward impact on inflation and potentially a threat to the ongoing recovery. If so, this would call for policy action to maintain the current accommodative stance. This is why we have said that the exchange rate is an increasingly important factor in our assessment of the outlook for price stability”11,

sostiene Draghi ma aggiunge che
While exchange rate appreciation contributes to low inflation in the short run, falling long-term rates support rising inflation over time, insofar as they are passed on into lower bank lending rates and stimulate demand. As a result, the overall policy stance has to take this balance of forces into account.What would be our policy response should this contingency arise? In our view an undue tightening of the policy stance can be addressed through a variety ofmore conventionalmeasures. These include a further lowering of the interest rate corridor, including a negative deposit rate.

L’ultimo, che non è affatto il meno significativo tra i temi affrontati, riguarda la relazione tra politica monetaria, banche ed intermediari finanziari. La vigilanza bancaria europea trasforma la moneta unica in una moneta bancaria controllabile dalla Banca Centrale. Non ci sarà solo l’euro come moneta circolante nel sistema. Ci saranno moneta, depositi bancari, attività prontamente liquidabili: un insieme che in gergo viene denominato M3. Questa massa monetaria rappresenta il punto di partenza per operazioni di mercato aperto tra la Banca Centrale Europea e le banche europee.
Operazioni che possono andare oltre lo scambio tra titoli del debito sovrano e moneta, come è già avvenuto nella prima stagione delle manovre non convenzionali di politica monetaria. Draghi aggiunge anche che
Another contingency that would warrant a monetary policy reaction would be further impairments in the transmission of our stance, in particular via the bank lending channel. Given the reduction in bank funding costs over the last year and the ongoing clean-up of the banking sector through the comprehensive assessment, our assessment is that bank lending conditions are improving and will continue to improve. Yet if this scenario does not materialize, we may have to respond. This could take several forms, including a longer-term refinancing operation targeted towards encouraging bank lending or an ABS purchase programme, supported by the necessary regulatory changes aimed at revitalizing high quality securitization in Europe.

Queste opzioni annunciate prenderanno corpo nel giugno del 2014, quando il piano della BCE per attivare, nella seconda metà dell’anno, gli strumenti non convenzionali per il rilancio della crescita verrà messo in atto12.



4. A parti rovesciate: Politiche Monetarie & Comunicazione
Perché Mario Draghi propone e sostiene la forward guidance e la stampa economica si arrocca, abbastanza spesso, sulle idee del passato e non sulle opzioni che ci offre il futuro?


Nel primo semestre del 2014 un refrain convenzionale si diffonde nella comunicazione economica italiana. Il format in questione sostiene che la riduzione dei tassi di interesse della Banca Centrale Europea sia lo strumento necessario per rendere la politica monetaria più espansiva di quanto non sia. Senza contare la tentazione di suggerire al presidente della BCE di utilizzare il tasso di cambio per ridurre il valore dell’euro rispetto a quello del dollaro: insomma, svalutare come facevano le banche centrali prima della nascita della moneta unica in Europa. Dietro questi suggerimenti c’è una sorta di ripetizione del paradosso con cui Keynes cercava di ribaltare la percezione della politica economica: quando spiegava che il ceto politico resta spesso prigioniero delle idee, obsolete, degli economisti del passato. Non tanto e non solo perché le idee del passato siano obsolete ma per sottolineare come il mondo spesso si trasformi e, di conseguenza, si debba prendere atto del fatto che le ricette vecchie non sono più adeguate alla soluzioni dei problemi contemporanei. Come sappiamo bene non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume.
E questo ce lo spiegano sia il tempo, come dimensione dinamica dell’azione, che la storia, come analisi delle conseguenze determinate dall’agire nel tempo: due circostanze che ci accompagnano ma delle quali non possiamo certamente liberarci.
I commenti alla riunione del Comitato Direttivo della BCE, il 3 aprile del 2014, prima che si arrivasse al fatidico appuntamento del 5 giugno 2014, che ha definitivamente annunciato i piani di Draghi, sono un campione rappresentativo di questo refrain che ha accompagnato anche la rivelazione di giugno.
Nel mese di marzo Draghi aveva annunciato che il Comitato Direttivo della banca, in presenza di una elevata incertezza, aveva deciso di aspettare che la nebbia dell’incertezza si diradasse: prima di agire o di indicare quando e come avrebbe agito. Ed è naturale, dunque, che l’attesa, per la scadenza di aprile, fosse elevata: da parte della opinione pubblica e del sistema della comunicazione.
Il discorso di Draghi del 3 aprile 2014 è stato molto essenziale ma anche molto denso, ripercorriamone i punti principali del ragionamento offerto alla conferenza stampa.
Il Comitato Direttivo della BCE è assolutamente risoluto a mantenere una politica monetaria espansiva, e ad allargarla ulteriormente, se fosse necessario. Il Comitato userà anche strumenti non convenzionali, ma compatibili con il proprio mandato e le regole dell’istituzione che esso governa: per superare i rischi di una troppo prolungata fase di bassa inflazione. Ma anche per fronteggiare due ulteriori e pericolosi rischi: una debole domanda interna nel mercato europeo, ma anche delle esportazioni, ed una azione insufficiente nello sviluppo delle riforme necessarie da parte dei Governi europei. Una condizione oggettiva ed una ragione soggettiva che minacciano la ripresa (assai attesa) di un processo di crescita.
Sostiene Draghi che i tassi di cambio debbano essere adeguatamente monitorati così come i rischi prodotti da squilibri di natura geopolitica. E che la frammentazione nazionale dei mercati bancari europei deve essere superata per poter avere una adeguata trasmissione della politica monetaria mentre le banche dovrebbero rafforzare la propria resilience e gestire l’assestamento delle proprie strutture di bilancio. Infine, la politica fiscale, che è sotto il controllo e la responsabilità dei Governi nazionali, dovrebbe essere capace di ridurre i propri deficit, riqualificare i servizi pubblici e minimizzare gli effetti distorsivi della tassazione. Mentre i Governi dovrebbero ridare fiato sia al mercato del lavoro che a quello dei beni e dei servizi. Si tratta di un’agenda concisa ma serrata. Tuttavia nel corso della successiva conversazione – domande e risposte – con la stampa internazionale è stato necessario tornare più di una volta sui punti critici che non venivano recepiti dai suoi interlocutori.
Questi punti critici si possono enunciare in questi termini.
Tasso di cambio e rischi geopolitici, sono variabili da monitorare ma non sono strumenti né obiettivi intermedi della politica economica. Sono l’effetto dei comportamenti degli attori che agiscono sul mercato, non sono le leve della banca centrale per governare il prezzo delle valute. Non serve ridurre il tasso di interesse, che giace a quota 0,25%: prossimo al pavimento dello zero. Il problema non è controllare il tasso di interesse ma ridare dimensioni adeguate al pricing della raccolta e degli impieghi dei mercati bancari e dei mercati finanziari. In questo caso, dunque, lo strumento non può, e non deve, essere la riduzione del tasso base. Anche perché si potrebbe pensare a tassi negativi ma il target centrale della BCE è il tasso di inflazione e non il tasso di interesse. Così come non è pensabile che sia uno strumento della BCE il tasso di cambio tra l’euro ed il dollaro, che è un prezzo che si forma grazie ai movimenti tra export ed import ma anche grazie ai movimenti di capitale che transitano cross border tra paesi emergenti e paesi maturi. C’è una ultima circostanza da monitorare, ed in questo caso vale la pena di usare alla lettera le parole di Mario Draghi:
The too prolonged period of low inflation is, by itself – and I think I have said this – a risk, because the longer the period of low inflation, the more likely the danger of inflationary expectations in the medium term becoming unanchored. So this is both a definition related to the length of time – the time horizon – but it is also a definition that impinges on the risk of a lower inflation path than we have in our baseline scenario. It has these two dimensions, both time and risks13.

La medesima struttura logica di questo ragionamento si può applicare alla disoccupazione: quando si allunga troppo la durata della recessione e della stagnazione, la inattività prolungata dei lavoratori impedisce che, alla ripresa della crescita, si possano reintrodurre nel mercato le competenze e le capacità di coloro che sono stati per troppo tempo fuori del mercato.
Ma il punto conclusivo e decisivo dell’impianto con cui Draghi ha fronteggiato le domande della stampa è stato il tema delle misure non convenzionali che la BCE adopererà come condizione necessaria di una politica monetaria espansiva: una premessa alla condizione, sufficiente e complementare, di una ripresa della crescita. Un circuito che deve chiudersi sul terreno delle imprese, delle banche e dei mercati finanziari. Un terreno sul quale sia l’investimento a generare nuove opportunità sull’onda di una politica fiscale che si liberi delle spese inefficaci e che sviluppi adeguati servizi di interesse pubblico. Su questo terreno ci sono due diversità radicali tra USA ed Unione Europea. La Federal Reserve può agire con operazioni di mercato aperto ed in diretto collegamento tra la sua azione e la riduzione della disoccupazione o, se si preferisce, la ripresa della crescita.
L’Unione Europea ha nella BCE una presidio che assume come obiettivo principale la stabilità monetaria, cioè una ridotta dimensione del tasso di inflazione. Anche la utilizzazione di strumenti di mercato aperto, tra banca centrale e banche diventa diverso rispetto agli USA: perché in Europa i canali di trasferimento tra risparmio ed investimento sono affidati prevalentemente alle banche mentre in America essi sono divisi tra banche e mercati finanziari, in pari dimensioni.
Draghi definisce la natura di queste operazioni non convenzionali perché, e per certi versi, sono strutture finanziarie che in qualche modo somigliano al Quantitative Easing (QE):
When the Fed buys assets or buys government bonds, it does change prices all across the spectrum of all assets, and this has an immediate or direct effect on credit, because most of the credit goes to the real economy via the capital markets. That is the big difference. In our case, all these effects go through the banks, so the final effect on the real economy depends, of course, on the demand for loans, but also on the state of health of the banking system. The euro area cannot really go back to serious growth if the banking system is impaired. A healthy banking system is more essential to the euro area than to other financial systems that are more market-based. In this sense, the Asset Quality Review and, more broadly, the Comprehensive Assessment that the ECB is undertaking are crucial to restore trust in the banking system, to open capital markets for the banking system and, most importantly, to shed light on what is in the balance sheets of the banks of the euro area. And let me say that the developments that we have seen in the last six or eight months are quite encouraging, because you now have several large institutions all over the euro area that are either recapitalising themselves or selling assets or making huge provisions. So, there is the sense that, even without waiting for the end of the Asset Quality Review, the simple fact that we are going to have this Asset Quality Review has provoked a series of actions by the banks and by the supervisors to strengthen the banking system. So, I am pretty confident that, by the time we do the Asset Quality Review, we will actually find a stronger banking system than we had before announcing it14.

Blinder, sulla rivista della Federal Reserve Bank of St. Louis, descrive in questi termini la relazione tra Quantitative Easing e tasso di interesse come strumenti della politica monetaria:
To begin with the obvious, I think every student of monetary policy believes that the central bank’s conventional policy instrument—the over – night interest rate (the “federal funds” rate in the United States)—is more powerful and reliable than quantitative easing. So why would any rational central banker ever resort to quantitative easing? The answer is pretty clear: Under extremely adverse circumstances, a central bank can cut the nominal interest rate all the way to zero and still be unable to stimulate its economy sufficiently. Such a situation, in which the nominal rate hits its zero lower bound, has come to be called a “liquidity trap”, although that terminology differs somewhat from Keynes’s original meaning… Enter quantitative easing. Suppose that, even though the riskless overnightrate is constrained to zero, the central bank has some unconventional policy instruments that it can use to reduce interest rate spreads—such as term premiums and/or risk premiums. If flattening the yield curve and/or shrinking risk premiums can boost aggregate demand, then monetary policy is not powerless,even at the zero lower bound. In that case, a central bank that pursues quantitative easing with sufficient vigor can break the potentially vicious downward cycle of deflation, weaker aggregate demand, more deflation, and so on. What unconventional weapons might be contained in such an arsenal? The following list is hypothetical and conceptual, but every item has a clear counterpart in something the Federal Reserve has actually done15.

Questa lunga citazione di Blinder spiega perché non serva andare sotto il pavimento dello zero, nel caso del tasso di interesse della BCE, e perché, al contrario, ed anche per le differenze istituzionali tra banca centrale americana e banca centrale europea, non si possa parlare di Quantitative Easing ma si debba parlare comunque di misure non convenzionali per allargare la forza espansiva della politica monetaria. Proprio per trovare una dimensione che possa collegare la Banca Centrale Europea, le banche ed i mercati finanziari alla ripresa degli investimenti delle imprese, e dunque alla crescita, serve andare oltre la dimensione del QE.
Nella sua ultima replica, ai giornalisti della stampa internazionale, nella conferenza del 3 aprile 2014, Mario Draghi aveva spiegato che
There are obviously different preferences about which QE would be more effective, and we will continue working on that in the coming weeks. And the second point on private debt is that it is not easy to design a programme of QE on private debt that is large in size and doesn’t have risk for financial stability. That is why the ECB is so squarely behind the need to develop an ABS market, because that is where the largest pool of private sector assets lies, basically banking loans – as I said before, we are a bank-based economy. So, if we are able to have these loans being correctly priced and rated, and traded, like it would happen, like it used to happen in the ABSmarket before the crisis, then we naturally have a very large pool of assets. The ECB is squarely behind this in a variety of ways – first and foremost, in its action to revisit the regulation for ABS. At the high point of the crisis, the regulation for ABS did not distinguish between simple ABS like the ones that had mortgages in them or the ones that had some SME (small and medium-sized enterprise) loans, and highly structured ABSs, quite complex. The first ones were typically European; the second ones were typically generated in the United States. The default rate of the first was something like between 1% and 2%. The default rate of the second was between 16% and 18% – I can’t remember now exactly the figures. In spite of this difference, the regulation concerning capital charges was the same, and the same thing for liquidity and other regulatory issues. That is why we have to revisit this and we find right now ample agreement also in other monetary policy jurisdictions. As a matter of fact, the ECB will present a joint paper with the Bank of England on this point at the next IMF meetings16.

Appare, in questo modo, sulla scena del probabile futuro europeo uno strumento, l’Asset Based Security, che rappresenta la potenziale cartolarizzazione dei crediti bancari. La BCE, insomma, potrebbe allargare la massa monetaria in Europa rilevando titoli pubblici e cartolarizzazioni di debiti privati.
Nel primo caso, tuttavia, se le banche europee ed i grandi risparmiatori che posseggono titoli pubblici, tornati liquidi grazie agli acquisti della Bce, dovessero comunque non sfidare il rischio della ripresa dei trasferimenti di fondi alle imprese per sostenere gli investimenti, sarebbe possibile rilevare la cartolarizzazione dei debiti delle imprese verso le banche e ridare liquidità diretta alle imprese. Avendo la BCE anche la opportunità di trasferire quelle cartolarizzazioni ai mercati finanziari. Ottenendo due risultati: superare la frammentazione in Europa dei mercati bancari nella dimensione singolare di ogni nazione e riproporre un mercato bancario unico in Europa. Ridurre la concentrazione del rischio di credito per le banche che debbano finanziare imprese e ridurre il grado di leverage che le banche stesse dovrebbero sviluppare se non fosse possibile ripristinare non solo i circuiti bancari ma anche quelli governati dai mercati e non dagli intermediari finanziari. Di questa larga operazione per ricostruire mercati bancari efficaci, e dunque strumenti per la ripresa della crescita in Italia, Draghi aveva dato un’ampia descrizione pochi giorni prima del 3 aprile.
Sembra, insomma, che la BCE, ed il suo presidente, stiano effettivamente riconfigurando la propria sfera di azione non solo sulla moneta unica ma anche sulla moneta fiduciaria, i depositi delle banche, assumendo, comunque anche i compiti di vigilanza sui sistemi bancari europei. Passando da una dimensione monetaria ad una dimensione bancaria e finanziaria della propria sfera di azione.
Mario Draghi sintetizza in questi termini gli obiettivi e le ragioni della sua attenzione a questa unione bancaria:
In sostanza, ciò che questi sviluppi andavano evidenziando era che non avevamo un vero e unico sistema bancario nell’area euro; avevamo una giustapposizione di sistemi bancari nazionali, il che spiega perché si sono frammentati così facilmente. Per garantire che la moneta unica sia veramente unica, dunque, l’unica opzione realistica era raggruppare tali sistemi nazionali in un unico sistema, in modo da ripristinare la fungibilità dei depositi. Qui entra in gioco l’unione bancaria. L’unione bancaria significa tre cose: significa un unico quadro di vigilanza che minimizza in modo uniforme il pericolo che una banca dell’area euro prenda rischi eccessivi e finisca per fallire. Significa un quadro unico di risoluzione, in modo che se una banca diventa comunque insolvente, possa essere risolta nello stesso modo, con uso limitato di denaro dei contribuenti, a prescindere da dove si trova la banca o dalla forza fiscale del suo governo. E significa un sistema di garanzia dei depositi che garantisce i depositanti con la stessa garanzia che i loro depositi sono al sicuro, indipendentemente dalla giurisdizione17.

Mario Draghi prosegue in questi termini la sua Forward Guidance omerica, e non delfica, ma il sistema della comunicazione non riesce ancora a collegare le numerose tessere del mosaico18.
Serve ancora, comunque, uno sforzo di integrazione reciproca tra i governi e le economie nazionali per poter far decollare la ripresa della crescita in Europa. Se in Italia, ed in Europa, prendesse piede una politica monetaria espansiva grazie a strumenti non convenzionali, allora la classe dirigente dovrebbe schierarsi ed assumersi la responsabilità di una ripresa effettiva della crescita.
Perché la crescita è l’effetto combinato dell’azione dei Governi, che apre opportunità ed occasioni, e dell’azione delle imprese, delle banche e dei lavoratori che, nel contesto di quelle occasioni e di quelle opportunità, impegnano le proprie energie e le proprie risorse nella sfida contro l’incertezza e nel governo dei rischi che quella sfida genera. Mario Draghi ha mantenuto a giugno l’impegno che aveva annunciato nel mese di maggio del 2014: ha aperto la strada ad una politica monetaria espansiva che possa creare le condizioni per una ripresa della crescita nell’economia reale 19. Non sono le regole della Federal Reserve ma, nello spirito, ci somigliano molto. Secondo la banca centrale americana bisogna difendere la stabilità della moneta e degli intermediari finanziari, guardarsi dall’inflazione e dall’azzardo morale dei banchieri “avventurosi”, e bisogna difendere la crescita reale e l’occupazione che ne alimenta l’espansione. Insomma, negli Stati Uniti, il banchiere centrale deve essere anche “strabico”: guardare e sorvegliare insieme sia la moneta, ed i mercati finanziari, che l’economia reale. Perché la moneta è un punto di collegamento tra l’altalena dei tassi di interesse e la dimensione dei prezzi offerti dalle imprese al mercato e dei redditi delle famiglie.
La BCE non ha questa ambizione ma il discorso di Mario Draghi del 5 giugno 2014 ripropone tutti gli strumenti che, nella sfera del perimetro statutario della banca che presiede, potrebbero creare un’atmosfera capace di tenere sotto controllo sia la stabilità monetaria: l’ossessione germanica dell’inflazione eccessiva e l’equilibrio che, tra Banche e Governi, deve tracciare le condizioni per la ripresa della crescita ed il ridimensionamento della disoccupazione in Europa. La lista degli strumenti di Draghi era articolata in quattro punti:
1. Ridurre, quasi a zero, 0,15%, il tasso base della banca centrale. Ridurre sotto zero, cioè a -010% il tasso di interesse per banche che depositassero eccedenze monetarie sulla Banca Centrale Europea.
Se si depositano eccedenze si paga per quel deposito un modesto interesse alla BCE. Perché quella moneta avrebbe potuto, e dovuto, essere impiegata come prestito a famiglie ed imprese che, sostenute dal credito, avrebbero potuto sviluppare i propri progetti: di consumo o di investimento.
2. Offrire forme innovative di finanziamento al sistema delle banche mediante targeted longer-term refinancing operations (TLTROs)
Una evoluzione di altri strumenti che impone due vincoli da parte della BCE: non comprare titoli del debito pubblico inferiori ai tre anni di scadenza come era accaduto in altre occasioni ma comprare solo target puntuali di crediti per una durata fino a quattro anni; crediti del settore privato non finanziario in Europa ma con l’esclusione dei prestiti per acquistare case da parte delle famiglie.
3. Preparare forme di Asset Baked Securitisation, cioè cartolarizzazioni di attività sottostanti che siano trasparenti ed affidabili, per potere arricchire anche in questa direzione lo scambio tra moneta e titoli da parte della banca centrale europea verso l’industria finanziaria europea: una ipotesi che accompagna l’affiancamento dell’industria finanziaria, le non banche, alla presenza ipertrofica delle banche nei mercati europei.
4. «In line with our forward guidance and our determination to maintain a high degree of monetary accommodation, as well as to contain volatility in money markets, we decided to continue conducting the MROs as fixed rate tender procedures with full allotment for as long as necessary, and at least until the end of the reserve maintenance period ending in December 2016». Che è, ancora una volta, l’impegno di metterci la faccia, sulla base della previsione, forward guidance, che si ritiene di dover mantenere per consentire una lunga stagione espansiva della politica monetaria: tanto lunga da offrire le condizioni per una ripresa della crescita reale.
A queste quattro condizioni, avendo constatato come la inflazione sia ormai sotto il livello dell’1%, viene giudicato necessario ribaltare la dinamica dei prezzi, in ascesa, per evitare lo spettro di una vera e propria deflazione: una caduta dei prezzi che comprometterebbe la stabilità delle imprese e l’intero sistema. La previsione indica un triennio per ritrovare la soglia, cruciale per una parte della cultura economica tedesca, del 2% come limite massimo dell’inflazione.
«Our assessment has been supported by the June 2014 Eurosystem staff macroeconomic projections for the euro area. They foresee annual HICP inflation at 0.7% in 2014, 1.1% in 2015 and 1.4% in 2016. In the last quarter of 2016, annual HICP inflation is projected to be 1.5%». Conclude Draghi.
In pratica si apre un triennio nel quale potrebbero, e dovrebbero, convivere una politica monetaria molto espansiva ed una dinamica dell’economia reale che dia un risultato effettivo e tangibile in termini di crescita economica. Le raccomandazioni di Mario Draghi si rivolgono ai Governi ed alle Banche: due attori che dovrebbero innescare la ripresa reale del processo economico grazie alle politiche monetarie espansive che la Bce offre alle Banche e grazie agli sforzi che i Governi devono intraprendere rispetto a numerosi obiettivi non ancora conseguiti: riprendere il controllo dei mercati, del lavoro e dei beni e dei servizi; ritrovare un equilibrio più stabile nella finanza pubblica; produrre un ordinamento più chiaro nei profili organizzativi che orientano le riforme di cui si parla molto ma sulle quali si conclude poco. Banche e Governi erano già entrati in una sorta di rotta di collisione nel 2012, quando sembrava che la crisi si acuisse e potesse ulteriormente degenerare in Europa20.
Il 5 giugno 2014 Mario Draghi conclude indicando quali possano essere i comportamenti dei due attori principali, Banche e Governi:
In order to strengthen the economic recovery, banks and policy-makers in the euro area must step up their efforts. Against the background of weak credit growth, the ongoing comprehensive assessment of banks’balance sheets is of key importance. Banks should take full advantage of this exercise to improve their capital and solvency position, thereby contributing to overcome any existing credit supply restriction that could hamper the recovery. At the same time, policy-makers in the euro area should push ahead in the areas of fiscal policies and structural reforms.

A marzo del 2014, ed in una sede particolare, la Università di Sciences Po a Parigi, aveva concluso in una chiave più ampia il suo giudizio su Banche e Governi:
Per concludere. Il punto che ho cercato di sottolineare oggi è semplice: per navigare attraverso una crisi del debito come quella sperimentata dall’area euro, la giusta sequenza e soprattutto la coerenza delle scelte politiche è fondamentale. Dobbiamo essere coerenti attraverso lo spazio, e dobbiamo essere coerenti nel tempo. Ci sono infatti due lezioni imprescindibili da trarre dal resoconto degli eventi che vi ho presentato oggi. In primo luogo, una ripresa completa verrà raggiunta quando – e solo quando –completeremo in pieno la sequenza di passaggi che ho evidenziato. Ad ogni passo di questa sequenza, non dovremmo chiederci: “Abbiamo fatto abbastanza?”. Sarà chiaro quando avremo fatto abbastanza: quando i debiti saranno ridotti, quando l’output potenziale sarà cresciuto e quando la disoccupazione sarà scesa – continuando intanto a preservare l’integrità della valuta, cioè la stabilità dei prezzi. Ciò significa, in ultima analisi, valutare senza autoindulgenze se le nostre economie sono al passo con l’economia della conoscenza specializzata e globalizzata. Questo è qualcosa che i governi nazionali, le imprese e le parti sociali devono fare insieme. Quanto si sta facendo qui in Francia è importante in questo senso, dato che una forte area euro ha bisogno di una forte economia francese. La seconda lezione è che la ripresa deriva da un’azione congiunta. Abbiamo visto gli effetti della frammentazione lungo linee nazionali dei mercati finanziari. Abbiamo sperimentato le conseguenze di livelli di fiducia divergenti tra i vari paesi. Abbiamo sofferto per la conseguente perdita di crescita e per l’aumento della disoccupazione. Nessuno che abbia vissuto questa crisi, o la volatilità economica degli anni ’70 e dell’inizio degli ’80, può credibilmente concludere che un ritorno a una mera giustapposizione delle politiche nazionali migliorerà la situazione di uno qualsiasi dei nostri paesi. Invece, è avvenuto rendendo le nostre politiche coerenti tra paesi che abbiamo ottenuto risultati positivi, ed è tenendo conto di questa lezione che continueremo a farlo. In alcune aree, come l’unione bancaria, ciò significa formulare le politiche centralmente. In altri settori, come la politica fiscale e le riforme strutturali, significa accettare un controllo efficace da parte degli altri paesi su un piano di parità. In entrambi i casi, non è una perdita di sovranità. In realtà, io lo considero un recupero di sovranità, perché è il modo per fornire ancora una volta, e in modo sostenibile, la stabilità e le opportunità che i cittadini richiedono ai decisori politici. Winston Churchill ha detto che “per realizzare grandi cose, sono necessari due fattori: un piano, e non abbastanza tempo”. Spero di aver chiarito oggi che noi abbiamo un piano. E dal momento che certamente non abbiamo tempo da perdere, ho fiducia che, se rimaniamo risoluti, possiamo fare grandi cose per l’area euro e i suoi cittadini21.




7. The quest for growth

La difficile transizione dell’Unione Europea verso un assetto istituzionale che possa esprimere una sovranità condivisa, da parte degli Stati che hanno deciso di partecipare a questa sfida, ha generato una trasformazione, modesta ma reale: la tornata elettorale per il Parlamento Europeo ha modificato la selezione per la presidenza della Commissione Europea. Per la prima volta la presidenza esprime una relazione, indiretta ma effettiva, tra la personalità politica che deve guidare la Commissione, la indicazione da parte dei Governi degli Stati partecipanti che quella personalità sia stata da loro condivisa, la designazione elettorale, da parte dei partecipanti alla tornata elettorale del Parlamento. Un circuito tortuoso ma che segna un primo passo politico verso la possibilità di un progresso verso una identità più coesa e più efficace delle politiche nell’Unione Europea.
La circostanza che sia la Germania, un attore molto rilevante nell’Unione, che la Commissione abbiano una base di consenso fondata su larghe intese tra partito cattolico e partito socialdemocratico europei rappresenta una opportunità ed un limite, come in ogni situazione non univocamente determinata. Le scelte del futuro per l’economia europea, e le opzioni per forme di governance capaci di mettere in moto la crescita dell’economia europea dovranno essere condivise e definite nell’ambito di un largo spettro di opinioni: questo potrebbe generare contraddizioni o contrasti ma anche innovazioni capaci di sbloccare veti reciproci e frizioni che potrebbero ritardare i progressi potenziali.
Sono in ballo due temi decisivi: conciliare politiche fiscali e di bilancio con la politica monetaria, per dare all’Unione una maggiore capacità di convergenza tra le numerose economie delle quali essa si compone; attivare una ripresa della crescita per quelle economie molto più robusta e prolungata nel tempo rispetto alla lunga oscillazione tra recessione e stagnazione, che abbiamo alle nostre spalle, dopo la crisi finanziaria del 2008. L’Europa è in coda alle graduatorie della ripresa e, dunque, i nuovi organi di governo della Commissione ed il contesto più generale delle istituzioni europee devono impegnarsi per risalire dalla coda di questa graduatoria almeno alla media delle singole velocità: una media che presenta una varianza troppo ampia e, dunque, suggerisce la definizione del Fondo Monetario di Uneven Recovery, una crescita disordinata, come lo stato attuale delle cose per quanto riguarda la crescita economica alla scala mondiale.
C’è una sfida sulla gestione delle politiche e vedremo come si presenterà il futuro prossimo di questa nuova stagione del Parlamento Europeo e della Commissione. C’è anche una seconda novità, Con la presidenza di Mario Draghi la BCE ha sviluppato un protagonismo molto più accentuato nell’esercizio delle sue prerogative istituzionali. Questa istituzione non presenta le caratteristiche della Federal Reserve, in particolare la esigenza di monitorare, attraverso la dimensione della disoccupazione, il livello di espansione dell’economia reale oltre che dei fenomeni monetari e finanziari, sta sviluppando una tecnica di comunicazione che offre alla politica monetaria un sostegno che rende più robusta l’efficacia delle proprie scelte e che, di conseguenza, può generare una migliore efficienza nel sistema che collega la moneta all’economia reale: sia attraverso il controllo dei prezzi e dell’inflazione che attraverso il governo delle relazioni tra istituzioni finanziarie, bancari e non bancarie. Infine, ma non è la cosa meno importante, la BCE sta sviluppando, sulla base di questi principi, analisi e suggerimenti operativi che riguardano il rapporto tra banche ed imprese in Europa: sottolineando la mancanza di una industria finanziaria, e dunque la predominanza del sistema bancario sul funzionamento dei mercati finanziari nel vecchio continente. Una storia che viene da secoli alle nostre spalle ma che bisognerebbe cominciare a cambiare. Analizzando lo stato delle cose, nel rapporto tra banche ed imprese, si presentano sulla scena sia un terzo incomodo – cioè la dimensione del debito pubblico classato dagli Stati nazionali nei mercati finanziari e spesso acquistato dalle banche in sostituzione dei crediti verso le imprese – che uno squilibrio tra la dimensione unitaria delle imprese, molto piccola, e la forte concentrazione dei sistemi bancari, che rende le banche troppo grandi rispetto alla micro dimensione delle imprese, in particolare in Europa. Nel Novecento questo problema di riallineamento, tra scala dell’impresa e scala della banca come dimensione organizzativa, era stato affrontato affiancando banche ed istituti di credito speciale, le non banche che emettevano obbligazioni ma non raccoglievano depositi. Gli istituti di credito speciale erano effettivamente supplenti dell’azione dei mercati di capitali: quei mercati nei quali oggi sarebbe necessaria una industria finanziaria che non sia controllata dalle banche. Ma la scommessa della BCE, e dell’intera finanza mondiale, è proprio quella di trovare una strada europea per l’industria finanziaria che possa generare una relazione virtuosa tra risparmio ed investimento e, di conseguenza, aprire per questa strada la via della crescita. Visto che il trasferimento del risparmio all’investimento deve comunque transitare nella relazione tra banche ed imprese, ovvero, se le banche sono troppo grandi e le imprese troppo piccole, attraverso il mercato dei capitali, sostenuto dall’industria finanziaria.
Di crescita, comunque, si torna a parlare con insistenza anche da una prospettiva macroeconomica. Non solo con questo approccio finanziario appena accennato. Niente di strano, visto che dopo la crisi finanziaria del 2008 il mondo, e l’Europa in particolare, anche in ragione dei punti critici relativi all’euro, la moneta unica, e della disordinata relazione tra Banche e Stati nazionali nella gestione del debito pubblico – come abbiamo descritto nella seconda parte di questo articolo grazie alle analisi ed agli interventi offerti da Mario Draghi – sono precipitati in un situazione di bassissima inflazione e di prolungata stagnazione. La prospettiva macroeconomica nella teoria della crescita somiglia, in una chiave funzionale, alla politica monetaria applicata all’espansione dei crediti per le imprese.Macroeconomia, e politica monetaria, sono necessarie ma non sono anche sufficienti ad ottenere lo sviluppo del credito o la accelerazione della crescita. Del resto, e con grande evidenza, se funzionano i mercati del credito accelera la crescita e se accelera la crescita si sviluppa anche il credito. Guido Carli spiegava questa relazione – simul stabunt aut simul cadent – con la metafora del cavallo, che beve o del cavallo che non beve. Se si espande l’economia reale si espande il credito, se si espande il credito si possono ottenere accelerazioni della crescita ed incrementi sostenuti della ricchezza.
Ma quali sono, o dovrebbero essere, le condizioni complementari per ottenere risultati se la macroeconomia e la politica monetaria appaiono come supporti necessari ma non sufficienti?
Il complemento necessario della macroeconomia potrebbe essere la nuova economia istituzionale22. La necessità di prendere in esame anche la creazione ed il governo delle istituzioni – organizzazioni che abbiano una gerarchia ed un valore assegnato da tutelare – completa l’analisi delle relazioni tra le grandezza che le istituzioni generano con il proprio comportamento. Essendo la relazioni tra le grandezze economiche la base analitica della macroeconomia.
Per la politica monetaria la risposta diventa più condivisa sul terreno economico: serve una politica fiscale che completi la relazione macroeconomica di base. Quella che indica come una identità necessaria che il saldo tra risparmio ed investimenti, in termini di flussi, sia uguale ala somma tra il saldo della bilancia corrente dei pagamenti e del deficit, o dell’avanzo, dei flussi di spesa e della tassazione nel settore pubblico.
Una crescita disordinata, come si legge nei report dei grandi osservatori mondiali, si misura proprio dagli squilibri, imbalances, delle bilance correnti dei pagamenti e del deficit del settore pubblico. Lo stock di debito pubblico, come si vede in questa descrizione, è un complemento al margine, un fattore di contesto e non una variabile determinante. È un parametro condizionante ed è molto difficile ridimensionare questo parametro, che è una minaccia per la crescita, solo accumulando avanzi di tassazione da utilizzare per rimborsare il debito. Uno stock di debito si ridimensiona meglio con una cessione di asset che non con un flusso prolungato di tassazione eccedente, rispetto alla spesa, che, ovviamente, comprime la crescita del reddito e riduce la crescita.
Queste relazioni, insomma, si complicano, nel mercato mondiale, perché non sono riconducibili solo al perimetro degli Stati nazionali la costruzione dei saldi delle bilance correnti e dei deficit pubblici. Nell’economia mondiale entrano in gioco anche gli stock del debito pubblico ed i movimenti di capitale. Perché le riserve valutarie accumulate dagli Stati in avanzo possono essere utilizzate per rilevare asset, finanziari o reali, nei paesi emergenti ma anche nei paesi tradizionalmente avanzati. I Fondi Sovrani e le grandi holding internazionali sono gli attori di questi processi. E, di conseguenza, condizionano anche la formazione dei tassi di cambio, che non sono solo dipendenti dai movimenti delle esportazioni e delle importazioni.
Siamo, dunque, in presenza di un potenziale esperimento di larga scala nella politica economica, e nella politica europea. Collegando istituzioni e governo della crescita in una dimensione che possa contare sul coordinamento tra politica monetaria e politica fiscale, il prossimo ciclo della politica europea potrebbe davvero trovare la chiave di volta della crescita possibile.




Una breve appendice per questo articolo
Come eravamo prima della crisi del 2008


Dal riordino di un vecchio personal computer sono emerse alcune tracce di un passato che sembra prossimo ma in effetti è abbastanza remoto. Si tratta del 2007, prima della crisi finanziaria che ha aperto la lunga stagione della recessione.
Presi, come siamo, dalla dimensione economica della recessione, e rileggendo cose scritte sette anni prima, mi viene alla mente un libro di Massimo Cacciari: Il potere che frena, saggio di teoria politica23.
C’era, e non c’è più Sarkozy ma c’è ancora la Merkel e, dopo la tornata elettorale per il Parlamento Europeo, potrebbero manifestarsi alcune novità importanti per la politica e per il futuro dell’Europa.
Che è rimasta davvero troppo ferma negli anni alle nostre spalle.
Ricordiamole in sintesi. Ricostruire una dimensione politica della crescita e dello sviluppo, ritrovare la sovranità sui destini dell’Europa, dato che gli Stati nazionali debbono cederla ad un soggetto politico autorevole e capace di evitare gli attriti, che gli Stati nazionali producono nel processo di espansione. Fare sentire l’autorevolezza di una voce unitaria, proporre una Europa che possa dire la sua sulla scena del mondo globale. Superare la moneta unica e governare i sistemi bancari per ottenere, anche in Europa, la nascita di mercati finanziari: andando oltre la dicotomia tra imprese troppo piccole e banche troppo invasive nel controllo dei trasferimenti dal risparmio verso l’investimento. Andare oltre la moneta unica per un mercato unico e ricostruire la dimensione della politica in Europa: che la crisi ha paralizzato. Battere il katechon, che la tradizione attribuiva a San Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi: una potenza che trattiene e contiene, arrestando o frenando l’assalto dell’Anticristo, che dovrà togliersi o esser tolto di mezzo – affinché l’Anticristo si disveli – prima del giorno del Signore. Così si presenta nella quarta di copertina il libro di Cacciari. Battere il katechon, insomma, e non uscire dall’euro per tornare al tema di queste note. Andare verso un futuro possibile ed utile e non ammettere un fallimento colossale del progetto di Delors e dei padri fondatori. Recuperare, o forse disegnare radicalmente in modo diverso la moneta unica, creata nel 2000, dato che la sua natura asfittica e le conseguenze della crisi hanno frenato miseramente l’integrazione economica nell’Unione. Azzerando la possibilità di una crescita bilanciata e sostenibile in Europa, almeno per ora. Anche l’Italia, del resto ha il suo katechon: che, emerso dalla crisi del 1992, oscura e trattiene la forza vitale di quello che è stato un grande paese dalla fine del secondo conflitto mondiale alla stagione critica degli anni Settanta.
Ma questa è un’altra storia e ne parleremo in seguito.
L’articolo che segue queste considerazioni è stato pubblicato su un quotidiano che ha avuto una storia breve ma interessante: «Il Riformista». È stato pubblicato il 24 giugno del 2007 con il titolo
Elogio dell’euroscetticismo:Il ritorno della politica.
Eccolo di seguito.

L’accordo sul percorso della costruzione europea, siglato grazie ad Angela Merkel e Nicholas Sarkozy, rappresenta il ritorno della politica nel governo di un processo, finora troppo strattonato tra buone intenzioni e sofisticate tecnicalities professionali. Per fortuna, dell’Europa, questo ritorno degli interessi, e della capacità di governare il conflitto, rappresenta un ottimo risultato. Il ritorno della politica si giustifica con grande evidenza: la nazioni, e gli stati che sono capaci di rappresentarne gli interessi, esistono ancora in Europa: Francia e Germania, in primis. Ma anche Gran Bretagna e, perché no, Polonia. Il presidente del Consiglio di turno, la Merkel, agisce con determinazione sulla convergenza tra le singole posizioni nazionali. Barroso, il presidente della Commissione, resta ai margini del confronto. Non era così ai tempi di Delors, l’ultimo grande protagonista visionario, ma anche politicamente forte, della Commissione. Che, nel Collège d’Europe a Bruges, diceva, nel 1989: “Gli avvenimenti si accelerano.. ricordiamo le domande di adesione della Turchia e dell’Austria. Altre richieste seguiranno, non c’è dubbio. I paesi dell’associazione europea di libero scambio intendono approfittare a pieno dei vantaggi del grande mercato […] è (anche) per questo che propongo un grande programma di reti ferroviarie e stradali che permettano di circolare più facilmente, e senza rischi di danni ambientali da Copenhagen ad Atene. Ecco come fondere assieme i nostri interessi comuni e le nostre solidarietà”.
Delors traduceva questa percezione in tre priorità: un mercato unico; un sistema monetario che garantisse stabilità; un bilancio pubblico, gestito della commissione e più largo nelle dimensioni, per garantire, creando beni pubblici condivisi con quelle risorse, maggiore coesione tra i paesi aderenti. Era il presidente della Commissione ma – si conceda un paragone temerario – le sue idee ed i suoi risultati sono stati quelli di un manager che progetta ed agisce davvero per soddisfare gli interessi dei suoi azionisti.
La Merkel e Sarkozy sono gli azionisti ed hanno dovuto scendere in campo per trovare una strada, tenendo conto anche degli interessi della Gran Bretagna e della Polonia, capace di superare una impasse figlia di passate scelte azzardate, od almeno discutibili, e della incapacità progettuale del management. E della bocciatura di una parte della popolazione europea per quelle scelte. Il mercato unico è stato importante ma la percezione di una disciplina della competizione, invasiva verso i paesi aderenti ed inesistente verso il resto del mondo, ha aperto la strada al risorgere di simpatie protezionistiche dentro l’Europa. Torna lo spettro della protezione statale nazionale e non il nazionalismo. A maggior ragione quando si consideri il regime di doppio binario per chi – entrato con l’ultimo allargamento a 27 paesi – sceglie se, come e quando accettare i vincoli della stabilità monetaria e si prende, da subito, diritti di veto politico sulle decisioni dell’Unione ed i vantaggi del mercato unico, nel quale la somma delle transazioni si traduce in un insieme ancora più largo della domanda aggregata, disponibile per le imprese dei paesi partecipanti.
L’asimmetria tra il club della moneta e quello del mercato unico non è stata adeguatamente gestita dal management della Commissione: le conseguenze sono leggibili nelle modalità con cui la Merkel ha dovuto trattare e concludere un percorso credibile per il futuro. La Merkel guarda ad est, ed all’integrazione dei paesi new comers, sapendo indurire quanto basta la propria posizione per arrivare ad un compromesso accettabile, anche con la Polonia, a prima vista “irriducibile”. Sarkozy guarda al Mediterraneo ed al ruolo imperiale della Francia in quella direzione. L’Italia, come nazione, è assai fragile, anche in questo caso: divisa tra una speranza mediterranea, che dovrebbe coltivare il suo mezzogiorno, ed una posizione, fin troppo subalterna all’industria continentale, delle sue imprese settentrionali. La moneta unica ha dato reputazione nuova alla stabilità monetaria ed i vincoli sulla finanza pubblica rafforzano questo effetto. Ma la moneta unica, grazie agli errori sulla forma tecnica dello strumento ed ai tempi stretti del change over, appare agli italiani fonte di impoverimento relativo e causa, come è, del gradino nei prezzi che ha introdotto nel paese. La moneta unica, e le nuove regole comuni sulla finanza, infine, generano banche sovranazionali ed infrastrutture di servizi, come la Borsa, delle medesime dimensioni. Adeguandosi banche ed infrastrutture alle nuove dimensioni del mercato. Non accade lo stesso tra le imprese industriali e nella competizione tra aree territoriali: il Sud cresce meno dell’Est della Germania. Sia sul terreno della integrazione economica che su quello della leadership politica. Angela Merkel viene dalla Germania orientale! Il fatto è che l’integrazione non garantisce la competizione se rimane elevata la distanza tra gli interessi. Procedere piano ma riprendere la strada interrotta; procedere per gruppi, se il tentativo riesce, per gli italiani è una vittoria e non un bicchiere mezzo vuoto.











NOTE
1 Cfr. M. Lo Cicero, L'euro e la divergenza tra economia europee, in «Rivista Economica del Mezzogiorno», n. 3/2013; inoltre Rapporto Svimez 2013, il Mulino, Bologna, 2013.^
2 Il programma completo di Juncker si può leggere at http://ec.europa.eu/about/junckercommission/docs/pg_it.pdf^
3 Cfr. Una strategia coerente per una ripresa sostenuta, una lezione di Mario Draghi, Presidente della BCE, pubblicata da WEBLOGGER. La lezione viene tenuta, a Science Po, Parigi 25 marzo 2014. Il testo si può leggere in italiano at http://europeancentralbanck.wordpress.com/2014/03/25/sciencepo_una_strategia_coerente_per_una_ripresa_sostenuta/_^
4 Phelps, Edmund S.(2009), Capitalism vs. corporatism, in «Critical Review», 21: 4, 401—414 http://www.columbia.edu/~esp2/Critical%20Review%20Piece.pdf. Si veda anche M. Flourishing, How Grassroots Innovation Created Jobs, Challenge, and Change Hardcover – 2 Jul 2013 E.S. Phelps. Princeton University Press; 1 edition (2 July 2013).^
5 «Dobbiamo rimanere poveri perché non “rende” essere ricchi.Dobbiamo vivere in stamberghe non perché non siamo capaci di costruire palazzi ma perché non possiamo “permetterceli”.. Perché con quello che abbiamo speso in sussidi di disoccupazione dalla fine della guerra avremmo potuto rendere le nostre città le più grandi opere dell’uomo sulla faccia della terra» J.M. Keynes, National Self – Sufficiency in The Collected Writings. Traduzione italiana in Id., con introduzione di Giorgio Lunghini, La fine del Laissez faire ed altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino, 1991.^
6 Si veda L. Reichlin, Come attrarre investimenti, in «Corriere della Sera», 12 luglio 2014; http://www.corriere.it/opinioni/14_luglio_12/come-attrarre-investimenti-37067f22-0982-11e4-bfee-4a37bea40287.shtml^
7 IMF, An Uneven Global Recovery Continues, July 24, 2014; http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2014/update/02/pdf/0714.pdf
Si veda anche il Bollettino Economico, Numero 3 / 2014, Luglio, della Banca d’Italia, https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/bollec/2014/bolleco3/bollec3/boleco_3_2014.pdf^
8 Si veda G. Tabellini, Riforme radicali per la svolta in Europa, in «Il Sole 24 Ore», 25 luglio 2014;http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-07-25/riforme-radicali-la-svolta-europa-063555.shtml?uuid=ABfN0BeB /^
9Si veda Monetary policy communication in turbulent times, Speech by Mario Draghi, President of the ECB, at theConferenceDeNederlandsche Bank 200 years:Central banking in the next two decades, Amsterdam, 24 April, 2014 si può leggere at http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2014/html/sp140424.en.html^
10 Paul Krugman discute del circuito reddito spesa in Krugman: la strada migliore è la strada ferrata, in «Il Sole 24 Ore», 29 marzo 2013; http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2013-03-29/strada-migliore-strada-ferrata-204009.shtml?uuid=AbelqriH^
11 Ancora una volta si veda Monetary policy communication in turbulent times, Speech by Mario Draghi, President of the ECB, at the Conference De Nederlandsche Bank 200 years: Central banking in the next two decades, Amsterdam, 24 April 2014; si può leggere at http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2014/html/sp140424.en.html^
12 Si veda anche Euro area economic outlook, the ECB’s monetary policy and current policy challenges, Statement by Mario Draghi, President of the ECB, prepared for the twenty-ninth meeting of the International Monetary and Financial Committee, Washington D.C., 10 April 2014 http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2014/html/sp140410_2.en.html^
13 Introductory statement to the press conference (with Q&A), Mario Draghi, President of the ECB, Frankfurt am Main, 3 April 2014; si può leggere at http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2014/html/is140403.en.html^
14 Anche in questo caso si veda Introductory statement to the press conference (with Q&A), Mario Draghi, President of the ECB, Frankfurt am Main, 3 April 2014; si legge at http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2014/html/is140403.en.html^
15 A.S. Blinder, Quantitative Easing: Entrance and Exit Strategies. This article was originally presented as the Homer Jones Memorial Lecture, organized by the Federal Reserve Bank of St. Louis, St. Louis, Missouri, April 1, 2010. Federal Reserve Bank of St. Louis Review, November/December 2010, 92(6), pp. 465-79 si può scaricare at. http://research.stlouisfed.org/publications/review/10/11/NovDec2010Review.pdf^
16 Sempre in Introductory statement to the press conference (with Q&A), Mario Draghi, President of the ECB, Frankfurt am Main, 3 April 2014; si può leggere at http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2014/html/is140403.en.html^
17 Si veda SciencesPo: Una strategia coerente per una ripresa sostenuta, in Weblogger, Lezione di Mario Draghi, Presidente della BCE, SciencesPo, Parigi 25 marzo 2014; http://europeancentralbank.wordpress.com/2014/03/25/sciencepo-una-strategia-coerente-per-unaripresa-sostenuta/^
18 Si veda Forward Guidance, (With Reference to Monty Python, Odysseus, Apollo, Paul Fisher, Deng Xiaoping and Mario Draghi’s Old Man) Remarks before the Asia Society Hong Kong Center, Hong Kong · April 4, 2014; Speeches by President RichardW. Fisher, si può leggere http://www.dallasfed.org/news/speeches/fisher/2014/fs140404.cfm; si veda anche Macroeconomic Effects of FOMC Forward Guidance si può leggere Jeffrey R. Campbell Charles L. Evans Jonas D.M. Fisher Alejandro Justiniano, May 30, 2012; si può leggere at http://federation.ens.fr/ydepot/semin/texte1112/JUS2012MAC.pdf^
19 Cfr. Introductory statement to the press conference, Mario Draghi, President of the ECB, Frankfurtam Main, 5 June 2014; e si leggano anche Press Release 5 June 2014 – ECB announces monetary policy measures to enhance the functioning of the monetary policy transmission mechanism; si può leggere at http://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2014/html/pr140605_2.en.html; ed anche Webcast of the press conference 5 June 2014, Mario Draghi; http://www.ecb.europa.eu/press/tvservices/webcast/html/webcast_140605.en.html^
20 Si veda M. Lo Cicero, Mario Draghi ed una “Unione più perfetta”. Una prospettiva americana in Europa? In «L’Acropoli», 15(2014), pp. 7 sgg.^
21 Ancora una volta SciencesPo: Una strategia coerente per una ripresa sostenuta, pubblicato su marzo 25, 2014 daWEBLOGGER Lezione di Mario Draghi, Presidente della BCE, a Sciences Po, Parigi 25 marzo 2014; http://europeancentralbank.wordpress.com/2014/03/25/sciencepouna-strategia-coerente-per-una-ripresa-sostenuta/^
22 Ci sono tre libri, pubblicati di recente, che sonomolto interessanti rispetto a questo problema: A. Di Maio, La finanza pubblica nel mondo delle idee (tra mano invisibile e Leviatano), Rubbettino, Soveria Mannelli 2014; G. Farese e P. Savona, Il banchiere del mondo, Eugene Robert Black e l’ascesa della cultura dello sviluppo in Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014; Luca Ricolfi, L’enigma della crescita, alla scoperta dell’evoluzione che governa il nostro futuro, Mondadori, Milano, 2014. Il primo volume approfondisce proprio la relazione tra macroeconomia ed istituzioni, con un attenzione puntuale ai temi della finanza pubblica e del Governo delle imposte e delle spese. Il terzo volume, quello di Ricolfi, propone una lettura molto stimolante dei paradigmi della crescita. Concentrandosi sul modello di Solow e sulla capacità di questa interpretazione di superare la essenziale dimensione macroeconomica del tema, quella di Harrod Domar che collega crescita e demografia in maniera molto semplice ed in una stagione pioneristica del tema, per intendersi. Ricolfi approfondisce e descrive la relazione tra produzione e concorso dei fattori di produzione. Lo schema che offre una interpretazione della crescita, e la economia che la esprime, come una singola accentrata grande impresa che utilizzi le proprie risorse rispetto ai risultati che intende ottenere nell’espansione della produzione. Il volume di Savona e Farese, invece, si pone proprio sul terreno della nuova economia istituzionale, quella di Coase e Williamson. Ma si tratta anche di uno studio di caso importante e stimolante sul nostro paese: la interazione tra la Banca Mondiale e la Cassa del Mezzogiorno negli anni della ripresa e del primo sviluppo, dal 1950 agli anni sessanta in Italia. Guardare alle istituzioni come complemento delle analisi sulle grandezza macroeconomiche che esse producono, o sulle quali interagiscono in maniera determinante, è una replica della spiegazione sull’impresa come black box, una scatola nera nella quale non esistono e non contano risorse umane e comportamenti, dalla quale parte la riflessione di Coase e Williamson che si riepiloga nella relazione tra dimensione degli scambi e controllo delle gerarchie come chiavi necessarie delle imprese, e di qualsiasi altra forma di relazione tra istituzioni ed economia.^
23 Il Libro di Massimo Cacciari si trova a questo link della casa editrice http://www.adelphi.it/libro/9788845927652.^
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