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Francis Lieber dall’Europa agli Stati Uniti: On civil liberty and self-government
di Alessandra Petrone
Alla ricerca di una patria ideale

Il 18 settembre 1844 Alexis de Tocqueville scriveva a Francis Lieber: «Non siete fatto per vivere in America. L’Europa è la patria vera del vostro spirito e dovreste venire a vivere in questo continente anche se non foste nato qui. Da quello che conosco di voi, respirerete con difficoltà nell’atmosfera della società americana. Come voi dite, un paese libero in Europa è il vostro palcoscenico. Io avrei desiderio che quel paese fosse il nostro. Politicamente parlando, questa nazione non sarà la più libera del mondo, ma è certamente quella nella quale l’individuo è meno ostacolato dagli obblighi della società nelle azioni quotidiane»1. Francis Lieber però aveva già scelto la sua patria delle libertà, vale a dire gli Stati Uniti, dove era giunto il 20 giugno 1827, con la prospettiva di una vita attiva e con la possibilità di mettere a frutto il suo talento. Dando inizio il 17 febbraio 1832, quando giurò come cittadino degli Stati Uniti, a quel processo di “americanizzazione”2 che, seppur già concluso nel suo animo, risulta alla fine compiutamente manifesto con la pubblicazione nel ’53 di On Civil Liberty and Self-Government. Un’opera in cui, attraverso l’esaltazione della “libertà civile”, che si esprime nella tradizione del self-government inglese e quindi anche americano, e sulla scia inoltre di un precedente breve saggio del ’49 intitolato Anglican and Gallican Liberty, si perveniva in modo assai puntuale e articolato a raffrontarla criticamente alla “libertà gallicana”; intesa questa come espressione del modello politico-istituzionale francese. Non a caso, com’è stato giustamente osservato, Lieber introduce in tale testo l’analisi del bonapartismo come ultima espressione di una tradizione di dispotismo democratico che aveva avuto la sua matrice nel pensiero di Rousseau3. In questo senso va letto in particolare, l’ultimo capitolo dell’opera, intitolato vox populi vox dei. Quello che soprattutto ci sembra però essere un punto essenziale del pensiero di Lieber, che merita di essere posto in evidenza, come faremo in seguito nella disamina dell’opera, è il ruolo delle istituzioni, o meglio la capacità di un sistema politico di tradurre i propri principi fondanti, in questo caso in primis la libertà, in istituzioni in grado poi effettivamente di tutelarli in concreto e non in astratto.
L’acquisizione della cittadinanza americana, con la conseguente rinuncia a quella prussiana, da parte di Lieber non può sorprendere del tutto ove si tengano presenti i suoi, seppur giovanili, trascorsi politici precedenti il suo arrivo in America. Lieber nasce a Berlino nel 17984, in un’atmosfera familiare intrisa di quegli ideali del nazionalismo tedesco che diviene movimento politico solo a partire dal 1806, in seguito alla dichiarata fine del Sacro Romano Impero, alla sconfitta prussiana di Jena ad opera di Napoleone Bonaparte e alla successiva affermazione del suo dominio sui territori tedeschi. Napoleone infatti, al di là della coerenza o meno rispetto al suo programma di riforme politiche e sociali, agli occhi di molti tedeschi apparve come il despota di una monarchia straniera5. Lieber, già a partire dal 1811, subì giovanissimo l’influenza delle idee nazionaliste di Friedrich Ludwig Jahn. Arruolatosi nel 1813, parteciperà alle battaglie di Ligny e Namur (1815) durante la campagna della settima coalizione anti napoleonica, rimanendo ferito. Alla fine delle guerre napoleoniche s’iscrisse al Gray Cloister Gymnasium a Berlino, proprio al tempo insomma degli esordi delle Burschenschaften, le associazioni studentesche universitarie che esprimevano il sentire di tutti coloro i quali, all’indomani della sconfitta della Francia napoleonica, speravano potesse configurarsi una Germania libera e unita, rimanendo delusi invece dagli esiti del Congresso di Vienna. Si trattava di associazioni nazionali, pan-tedesche e ben disposte nei confronti dei principi di libertà6. Nelle frange estremiste di questi ambienti maturò l’assassinio del già consigliere di Stato russo Kotzebue nel 1819, ad opera di Karl Ludwig Sand, studente di teologia a Jena, e membro delle Burschenschaften; un evento che portò alle risoluzioni di Karlsbad, le quali contenevano norme repressive che contemplavano l’allontanamento di professori scomodi, il divieto delle associazioni studentesche, la censura a giornali, riviste e stampe con meno di venti pagine. Lieber venne arrestato e rilasciato dopo quattro mesi, ma gli fu proibita l’iscrizione a qualsiasi università in Germania, con l’eccezione di quella di Jena, dove si laureò in filosofia nel 1820. Nel 1821 si imbarcò con entusiasmo per la Grecia, come molti altri giovani tedeschi, per supportare la rivolta greca contro il dominio turco; rimase però profondamente deluso della condizione di miseria complessiva della popolazione rispetto allo splendore del mito classico di cui i filo-ellenici tedeschi si erano nutriti. Durante il difficoltoso viaggio di ritorno verso la madrepatria Lieber si fermò a Roma, dove ebbe modo di legarsi ad una figura che risulterà fondamentale per la sua crescita intellettuale, come lui stesso ebbe modo di ammettere anni più avanti7, vale a dire lo storico tedesco Niebuhr 8. Ritornato a Berlino nel 1823, si trovò di nuovo immerso nell’oppressivo clima politico prussiano, e sebbene dal suo ritorno avesse cercato soltanto di continuare tranquillamente i suoi studi, venne nuovamente arrestato nel 1824. Rilasciato grazie all’interessamento di Niebuhr, egli cominciò a coltivare l’idea di lasciare la Germania. Nel 1826 raggiunse l’Inghilterra, una tappa di avvicinamento alla meta finale: gli Stati Uniti, dove si trasferì alcuni mesi dopo. Prima della partenza Niebuhr gli aveva scritto di rimanere un tedesco, ma Lieber disattese tale richiesta, senza però tradire i suoi ideali politici. Che anzi, trasferì in quella che per scelta sarebbe stata la sua nuova patria, poiché qui e non altrove, in qualsiasi altra parte d’Europa, ne venne avvertendo la più conforme realizzazione politico-istituzionale.
Sicuramente il primo lavoro che Lieber affrontò contribuì non poco a compenetrarlo in tutti gli aspetti della realtà americana sin dai primi anni di permanenza negli Stati Uniti, trattandosi della Encyclopædia Americana, un’opera in tredici volumi editi fra il 1829 e il 1833 da lui fattivamente coordinata. Tutto ciò contribuì a dargli notorietà, come pioniere in tale tipo di pubblicazioni9; ma pioniere negli Stati Uniti Lieber lo fu soprattutto per quanto riguarda la scienza politica. Il primo trattato sistematico, di scienza politica, fu proprio il suo Manual of Political Ethics, pubblicato nel 1838 in un contesto politico e dottrinario in cui la grande questione istituzionale rimaneva quella della natura dell’Unione. Sul fondamentale problema di far coesistere l’indipendenza dei singoli Stati con le prerogative del governo federale Lieber, che tanto aveva condiviso l’aspirazione per l’unità nazionale in Germania, sembrò quasi trasferire tali istanze nazionaliste sul suolo americano, seguendo peraltro le idee di Hamilton e di Marshall10.
In Political Ethics particolarmente interessante ci sembra la definizione della natura dello Stato che Lieber prospetta; uno Stato interpretato non certo come fine, ma semmai come mezzo, e che ben si concilia con la sua idea di “libertà civile” così come questa verrà esposta successivamente in On Civil Liberty and Self-Government. Scriveva in proposito Lieber, sintetizzando un lungo ragionamento precedente in una serie di punti:
1) Lo Stato esiste per necessità, ed è la condizione naturale dell’uomo 2) Lo Stato è una società giuridica 3) Lo Stato è una società di esseri morali 4) Lo Stato non assorbe l’individualità, ma esiste per il migliore ottenimento del vero fine di ogni individuo, e della società collettivamente 5) Lo Stato, essendo una società umana, giuridicamente considerata e organizzata è la società delle società; un legame nel bene come nel male 6) Lo Stato non fa il diritto, ma è fondato su di esso 7) Lo Stato nasce con l’uomo; non è un’associazione volontaria, non un congegno dell’arte, o un’invenzione oppressiva, non una compagnia di azionisti; non una macchina, non opera di un contratto fra individui che vivevano precedentemente fuori di esso; non male necessario, non malattia dell’umanità, che sarà curata nel tempo dalla civilizzazione; non cosa accidentale, non istituzione al di sopra e separata dalla società, non strumento per uno o alcuni; – lo Stato è la forma e la facoltà del genere umano di condurre le specie verso la perfezione – è la gloria dell’uomo11.
Una definizione che, come si è accennato, per molti versi costituisce il preambolo di quella che si può considerare l’opera della maturità intellettuale di Lieber, vale a dire On Civil Liberty, testo pubblicato nel 1853, ma poi riedito varie volte. Un’opera in cui egli giunge a registrare criticamente la distanza fra alcune rilevanti istituzioni politiche europee a fronte di quelle americane. Anzitutto la Francia, a suo avviso, pervenuta in quel mentre agli esiti illiberali del II impero bonapartista da poco proclamato. Considerando invece come modello europeo alternativo l’Inghilterra, Lieber, seppure mettendo in evidenza come il self-government di matrice inglese venisse ad assumere negli Stati Uniti alcune connotazioni originali proprie, sottolineava l’affinità o la connessione di valori e di istituti di libertà tipici dei due paesi anglosassoni, a cominciare dalla comune appartenenza all’area della common law. Della quale Lieber, ponendola a confronto con la civil law, esaltava gli aspetti di superiorità, in particolare «per ciò che concerne i diritti personali, la libertà del cittadino, il processo, l’indipendenza della legge, i principi dell’autogoverno, e la supremazia della legge». Ma, egli aggiungeva, «l’idea della common law come dotata di indipendenza e di vita propria, è naturalmente condannata da coloro i quali seguono le opinioni dei francesi»12.



Il modello anglosassone

L’incipit del primo capitolo di On Civil Liberty ci sembra il necessario punto di partenza per ricostruire il percorso seguito da Lieber. Egli infatti così esordiva: «In che cosa consiste la libertà civile? Come viene conservata? Quali sono i suoi mezzi di diffusione? Sotto quali forme si presentano i suoi pericoli principali?»13. La risposta al primo quesito veniva individuata stabilendo che il termine “libertà civile” andava letto in una duplice accezione, e cioè nel senso di assenza di restrizioni individuali ma anche come sistema di garanzie (principi e leggi) che l’organismo politico, in questo caso lo Stato, doveva porre in essere per proteggere e favorire la dignità dell’uomo, nella sua doppia natura, come individuo e come essere sociale. Se per Lieber la libertà riferita all’uomo nella sua duplice dimensione significa essenzialmente protezione contro ogni ingerenza indebita, sia che essa provenga dagli individui, dalle moltitudini, o dal governo, allora appare chiaro che l’idea di “libertà civile” finiva a suo avviso con l’intrecciarsi e con l’immedesimarsi con il carattere dell’intero sistema politico di una data nazione14.
La nazione che egli indicava per prima come garante di tale tipo di libertà, la stessa poi esportata negli Stati Uniti, era ovviamente l’Inghilterra. Un modello, quello anglosassone, che assommava il sistema rappresentativo, il giudizio tramite giurati, la libertà di stampa, la tassazione approvata dai rappresentanti del popolo, la divisione dei poteri, il principio di libertà personale garantito dall’Habeas Corpus15. Si può dire che Lieber sostanzialmente giungeva ad identificare la “libertà civile” con la “libertà anglosassone”, non tanto perché essa dovesse essere ristretta esclusivamente a determinati popoli, ma piuttosto poiché si era svolta presso quei popoli.Quali caratteristiche essenziali della “libertà anglosassone” andavano intese tutte le garanzie a difesa di quei diritti che l’esperienza aveva dimostrato essere più esposti al pericolo di minaccia da parte del potere più forte dello Stato, vale a dire l’esecutivo, e contemporaneamente le garanzie poste a fondamento di una forma di governo in grado di essere meno soggetta a generare tali pericoli. Garanzie che riguardavano tanto l’individuo singolo nella sua sfera di competenza che il popolo inteso come unità di tutti i singoli, cioè la nazione. Entrambi i tipi di garanzie dovevano sussistere perché ci fosse vera libertà16. Lieber sembra in tal caso considerare che il contemplare solo il diritto del popolo in quanto unità avrebbe annientato le prerogative dell’individuo singolo che sarebbe scomparso di fronte al tutto; viceversa se invece il popolo veniva inteso solo come somma di individualità prive di legami intrinseci, la conseguenza sarebbe stata la diffusione dell’egoismo soggettivo.
Quali sono queste garanzie? In On Civil Liberty ne viene fatta una dettagliata rassegna17. Innanzitutto non si può iniziare a parlare di libertà se la nazione non è indipendente, cioè se subisce ingerenza da parte di Stati stranieri. Solo con questa premessa infatti si possono definire quelle che sono le garanzie del singolo individuo, prima fra tutte la libertà personale. Anche per coloro che erano sottoposti a giudizio penale, doveva essere garantito il presupposto di innocenza fino a sentenza definitiva, in modo tale da evitare la pratica dell’arresto in corso di giudizio. Giudizio penale che a sua volta doveva rispettare una serie di precetti: efficace protezione della persona accusata; sicurezza della difesa; una distinta imputazione per ogni distinto reato; il dovere da parte del governo di provare tali reati e non il dovere da parte dell’accusato di provarne l’insussistenza.
Inoltre dovevano essere garantiti: equità di giudizio attraverso giudici pari all’imputato; attendibilità della prova; pubblicità del giudizio; un processo accusatorio ma non inquisitorio; certezza della legge che doveva essere applicata; rapidità; massima imparzialità e un verdetto assoluto, cioè l’impossibilità di essere giudicato due volte per la stessa colpa.
Fra i diritti individuali erano annoverati inoltre, il diritto di avere una comunicazione libera con i propri simili senza interruzioni e sorveglianze. Tale diritto si manifestava nella possibilità di radunarsi e parlare in pubblico, di avere una stampa libera e nell’inviolabilità della corrispondenza epistolare. Il diritto di muoversi senza restrizioni sia dentro sia fuori il proprio paese, la libertà di coscienza o anche di culto religioso e quello che si deve non a torto considerare uno dei fondamenti della dottrina liberale, vale a dire il diritto alla proprietà. Proprietà intesa da Lieber come acquistata o da acquistarsi, prodotta e accumulata, da prodursi e da accumularsi. In tale definizione era inclusa quindi la libertà di produrre e scambiare, il divieto del monopolio, la libertà di commercio e la garanzia che la proprietà non si potesse acquistare se non per vie legali. Inoltre, cosa altrettanto significativa per la dottrina liberale, il prelievo fiscale su di essa non doveva avvenire senza il consenso diretto o indiretto del proprietario contribuente.
Un altro punto qualificante, a detrimento degli arbitri soggettivi, diveniva quello della supremazia della legge, cioè l’affermazione che la libertà individuale non può esservi là dove il cittadino non sia soggetto a null’altro che alla legge. Intesa quest’ultima come pubblica opinione che, organicamente si trasforma in pubblica volontà. La supremazia della legge portava ad un altro principio, profondamente connaturato nel sistema politico-istituzionale anglosassone, quello secondo cui ogni pubblico ufficiale rimaneva personalmente responsabile della legalità degli atti che eseguiva, e di conseguenza ogni cittadino era autorizzato ad opporsi ad un atto illegale prodotto dal pubblico ufficiale senza l’obbligo della preventiva obbedienza.
Venivano quindi enumerati altri due diritti, quello di petizione e quello che ci sembra particolarmente rilevante, vale a dire il diritto di associazione. In questo caso Lieber molto si avvicina al pensiero tocquevilliano, egli infatti definisce il principio di associazione come «un elemento di progresso, di protezione e di efficace attività. Quanto più libera è una nazione, altrettanto più sviluppato noi vi troviamo nelle sfere grandi o piccole tale principio; quanto più dispotico è un governo, altrettanto più accuratamente esso sopprime tutte le associazioni», aggiungendo inoltre che «non vi è cosa che colpisca tanto lo straniero il quale per la prima volta arriva in Inghilterra e negli Stati Uniti, quanto le mille prove che egli vi scorge di uno spirito di associazione penetrato ovunque […] togliete all’Inghilterra e all’America questo fattore e questo principio, ed esse cesseranno di essere i medesimi popoli fiduciosi in sé, energici, indomabilmente attivi; lo spirito di autogoverno sarebbe perduto»18.
Dopo aver analizzato le garanzie individuali, Lieber passava in rassegna le garanzie connesse all’attività del governo in un paese libero. La prima che poneva in evidenza era la pubblicità dell’attività dei corpi legislativi e dei tribunali, e di tutti gli affari minori che per loro natura dovevano però considerarsi di interesse generale. Implicando ciò, la pubblicazione di tutti i documenti, rapporti importanti, trattati, al fine di renderli fruibili a tutto il popolo. Di seguito, veniva poi menzionata la necessità che il sistema della finanza pubblica, a cui si legava l’importante questione delle imposte, fosse sotto diretto controllo del ramo popolare del parlamento. Infatti sia in Inghilterra che negli Stati Uniti la camera bassa era il luogo dove dovevano essere presentate tutte le leggi finanziarie. Mentre la decisione di fare la guerra doveva spettare all’esecutivo.
Sempre per quanto riguarda le dinamiche di un sistema parlamentare, veniva evidenziato da un lato la tutela e la maggior protezione possibile della minoranza, e dall’altro, però, la sicurezza per la maggioranza che nessuna minoranza faziosa potesse governare sopra di lei19. Minoranza che doveva tradursi in opposizione leale, cioè in un partito che combatte gli uomini che in un dato momento detengono il potere o meglio sono al governo, attraverso procedure che rientrano nella cerchia delle leggi fondamentali di uno Stato. La maggioranza era protetta infatti dall’idea che l’amministrazione era fondata sui principi di un partito, intendendo per partito un insieme di uomini che si accordano su determinati principi generali di governo, in opposizione ad altri, operando d’accordo fra di loro. Quindi il partito non doveva assolutamente essere inteso come mezzo per procacciarsi incarichi lucrosi o impieghi di prestigio. Altro punto qualificante era quello della responsabilità dei pubblici ufficiali riguardo ai loro atti, responsabilità che includeva anche i ministri facenti parte del governo. Pertanto ogni decreto governativo non doveva essere pubblicato senza la firma del ministro responsabile. Più in generale, nella libertà anglosassone il principio prevalente si può sintetizzare con l’affermazione che il potere esecutivo può fare tutto ciò che le leggi permettono, ma non tutto quello che non è proibito.
La Rule of law richiedeva che laddove esisteva una costituzione, dovesse esistere una qualche autorità che potesse decidere se una legge approvata dal corpo legislativo urtasse con la legge superiore, vale a dire la costituzione stessa. Tale corpo che doveva esprimersi sulla costituzionalità delle leggi non poteva che essere costituito da giudici, i quali erano preposti ad agire secondo ragione, in conformità della legge, con obiettività. A questo punto Lieber affrontava la questione del governo rappresentativo sul quale, non esitava ad affermare che «di tutti i baluardi della libertà, non ve n’è alcuno che abbia maggiore importanza, e che nel suo ampio e molteplice sviluppo sia più peculiarmente anglosassone, che il governo rappresentativo»20. Esso costituiva un baluardo nei confronti sia delle moltitudini sia dell’esecutivo. Vale a dire l’unico sistema che permetteva la coesistenza di un governo essenzialmente popolare con la supremazia della legge, l’unione cioè della libertà con l’ordine. I punti costitutivi del governo rappresentativo erano il principio di rappresentanza, le leggi elettorali, l’organizzazione dei corpi legislativi con proprie prerogative e libertà. La base della rappresentanza doveva essere la più ampia e popolare, ma ancor più importante secondo Lieber era la modalità di voto, cioè se le elezioni dovevano essere dirette o a doppio grado. Generalmente egli nei popoli anglosassoni notava una preferenza per le elezioni dirette che, non prevedendo intermediari, non impoverivano la rappresentanza di responsabilità e valore. Particolare rilievo veniva dato al bicameralismo. Dopo aver sottolineato la necessità per il parlamento di dotarsi di quei poteri che senza diventare aggressivi proteggano la sua dignità, Lieber si soffermava con attenzione su come questa sia una importante garanzia di libertà. Sia in Inghilterra che negli Stati Uniti il ridiscutere un provvedimento ex novo in una seconda assemblea, dotata degli stessi poteri ma eletta in modo diverso, consentiva una valutazione più approfondita e particolareggiata. Come ulteriore garanzia indicava il diritto di veto del presidente della repubblica, quale freno al parlamento e quindi come protezione del cittadino, regola presente solo negli Stati Uniti21.
Ulteriori sostegni alla libertà civile venivano dall’indipendenza del potere giudiziario, che nel mondo anglosassone si era pienamente compiuta. Indipendenza tanto più importante se si pensa che il sistema di common law assegnava proprio ai tribunali la facoltà dello sviluppo “spontaneo”, per utilizzare la terminologia di Lieber, della legge. L’indipendenza della giustizia ovviamente richiedeva l’indipendenza del giudice, che non poteva ottenersi senza la separazione del giudiziario dagli altri poteri. Ma, cosa oltremodo importante per Lieber, tale garanzia d’indipendenza non poteva essere compiuta senza quella che potremo chiamare sinteticamente separazione delle funzioni fra magistratura inquirente e giudicante.
L’ultima componente ma, a suo avviso, forse quella fondamentale della libertà anglosassone era il self-government. L’importanza che Lieber conferiva a tale punto la si riscontra sia nella meticolosità con la quale egli cerca di risalire all’origine del termine, ma anche e soprattutto nelle parole che utilizza per suffragarne l’importanza, in tal senso così si esprimeva:
La libertà individuale consiste in gran parte nella fiducia in sé politicamente riconosciuta, l’autogoverno è la sanzione di questa fiducia in sé e della determinazione di sé nei vari circoli più o meno grandi in cui il governo agisce e dei quali consiste. Senza l’autogoverno locale, cioè senza l’autogoverno posto seriamente in atto e applicato alle realtà della vita, non limitato ad una semplice teoria generale, non c’è autogoverno reale conforme alle opinioni ed ai sentimenti degli anglosassoni. L’autogoverno si fonda sulla buona volontà del popolo a prendersi cura dei propri affari, e sulla assenza della disposizione di rivolgersi per ogni cosa al governo centrale: così come sulla buona volontà in ciascuno di lasciare che gli altri si prendano cura dei loro affari. Esso non può esistere laddove prevale il principio generale dell’ingerenza, cioè la tendenza generale del potere esecutivo e dell’amministrazione a fare tutto ciò che è possibile fare, ed a sostituire la loro azione alle operosità minori o individuali e alla fiducia in sé stessi. L’autogoverno è il corollario della libertà22.
Sinteticamente il self-government veniva definito come «la libertà in azione»23, il luogo dove l’attività creatrice del cittadino diventa la regola mentre l’operato generale del governo risulta essere l’eccezione. Una situazione quindi che riduce l’azione di governo al ruolo di moderatrice, conciliatrice dell’azione dei cittadini. Il self-government non tollera una vasta gerarchia d’impiegati, formanti una classe a parte e separata, che opera personificandosi nello Stato e considerando i cittadini solo come il substrato su cui esso si fonda. Esso non nega il concetto di potere, quindi l’idea che a un’autorità debba corrispondere l’obbedienza del cittadino, ma deve essere concepito come un’istituzione organica, che presuppone una connessione sistemica fra le parti che la costituiscono. Inoltre è opposto tanto allo scioglimento della società in individui singoli, disgiunti fra loro, che al dispotismo. In Francia, rilevava Lieber, nulla colpiva di più della tendenza da parte del governo di immischiarsi in ogni cosa non lasciando nulla allo sviluppo spontaneo. Sarebbe sbagliato però considerare che il self-government implichi debolezza, debole era invece l’assolutismo. Infatti questo poteva concentrare in alcuni momenti una grossa forza, ma come tutte le concentrazioni non sarebbe mai divenuto una scuola di carattere per i cittadini. Oltretutto un certo grado di concentrazione era possibile anche nel self-government, solo che in tal caso non si lasciava all’esecutivo la possibilità di abusarne usando arbitrariamente il proprio potere. Va sottolineato che per Lieber la questione principale restava quella di stabilire a priori quali istituzioni avrebbero consentito all’uomo di realizzarsi secondo i più nobili scopi, e che avrebbero prodotto gli effetti più durevoli e positivi sull’universale. Ed egli in tal senso, dalla sua ricostruzione del sistema di autogoverno inglese, dimostrava di essere stato un attento lettore di Tocqueville, che infatti viene citato in proposito, e di cui acquisisce in toto l’impianto generale delle considerazioni da lui fatte sull’accentramento amministrativo24.
A questo punto Lieber si soffermava su quelle che abbiamo definito peculiarità, da lui individuate, del sistema americano o meglio della “libertà americana” rispetto al modello inglese, quindi della “libertà anglosassone” tout court. Questi elementi nuovi che egli indicava erano, quello che veniva definito «federalismo repubblicano»; l’assoluta separazione dello Stato dalla Chiesa; la maggiore uguaglianza anche attraverso un riconoscimento più ampio dei diritti del cittadino; un sistema politico più popolare e democratico. Per quanto riguarda il primo punto, Lieber poneva l’accento sul fatto che gli americani non credono che senza repubblicanesimo non vi possa essere libertà, né che il repubblicanesimo sia una garanzia assoluta di libertà, invece essi credono che la forma repubblicana di governo sia quella più adatta delle altre a creare uno “stato di felicità politica”. Il repubblicanesimo americano inoltre veniva a collegarsi con il principio rappresentativo (utilizzo delle due camere) e con un modello di stato federale. Questo autorizzava l’uso quindi della dizione «federalismo repubblicano» da Lieber giustificata con queste parole:
La nostra forma di governo, quindi, viene giustamente chiamata repubblica federale, con un magistrato supremo eletto da quello che i greci chiamavano, in politica, il Koinon, l’Intero, con un completo governo rappresentativo per quell’Intero, un esercito comune e una magistratura federale, e con l’autorità di imporre tasse sull’Intero. Da nessuno essa è chiamata lega25.
La separazione dello Stato, non dalla religione, ma dalla Chiesa veniva considerata un portato naturale della libertà di coscienza dagli americani, cosa che poteva comportare anche inconvenienti come la proliferazione delle sette, considerate però comunque un male minore rispetto alla rinuncia a tale separazione. Altra caratteristica era il suffragio universale, cioè il diritto di voto svincolato dal censo. Veniva inoltre menzionato il fatto che l’esecutivo non possedeva il potere di sciogliere o prorogare il parlamento, e l’esistenza di una costituzione scritta rispetto a quella consuetudinaria inglese, che in qualche modo dava maggiore certezza ai diritti dei singoli cittadini.



Il modello gallicano

Dopo la breve digressione sul caso americano, Lieber affrontava la “libertà gallicana”26, che veniva posta dopo la trattazione sulla libertà tipica dei popoli anglosassoni, proprio con l’intento di presentarla come modello antitetico a quest’ultima. Egli evidenziava come la libertà avesse germogliato in Francia come altrove; occorreva però valutare se essa aveva dato luogo a istituzioni permanenti, capaci di svilupparsi, e se queste dovessero considerarsi peculiari ai francesi oppure importate da altri sistemi. La disamina delle istituzioni immaginate in Francia per tutelare i diritti individuali portava alla conclusione che l’unica che avesse avuto un’esistenza durevole fosse stata la Corte di Cassazione. Cioè il tribunale supremo che possedeva la facoltà di annullare le sentenze di tutti gli altri tribunali in materia civile e criminale, anche al fine di garantire l’uniformità dell’applicazione della legge in tutto il paese, e che doveva vigilare sui giudici e poteva citarli davanti al guardasigilli per la loro condotta, mancando però della facoltà di pronuncia sulla costituzionalità delle leggi. Ciò portava Lieber a definire la libertà francese come «l’idea dell’uguaglianza fondata sopra, o operante attraverso, il suffragio universale, cioè quella che viene chiamata in Francia “la sovranità indivisa del popolo”, collegata con un intransigente accentramento»27. Da ciò, che sembrava essere una costante in Francia, derivava la confusione fra uguaglianza e democrazia da una parte, e tra democrazia e libertà dall’altra. Se infatti l’uguaglianza entrava a far parte di qualsiasi libertà, e nessuna libertà si poteva concepire senza un elemento democratico, uguaglianza e democrazia da sole non potevano costituire la libertà. Infatti dal loro incontro potevano generarsi i peggiori dispotismi, l’uguaglianza annullando l’individualità, come secondo Lieber era intrinseco nella dottrina comunista28; la democrazia generando forme di assolutismo dove ci si trova in balia di un governo sfrenato e senza responsabilità. Inoltre l’uguaglianza in Francia era stata scambiata con l’uniformità, che porterebbe da sé all’accentramento, cioè ad un potere pervasivo che agisce in ogni particolare, l’opposto quindi del self-government. Lieber richiamando il motto dei repubblicani francesi di sinistra durante il 1848 «Repubblica democratica e sociale», sottolineava cosa si dovesse intendere per repubblica democratica, quella fondata sull’uguaglianza assoluta dei suoi membri, mentre per repubblica sociale, quella basata sull’eguaglianza delle condizioni sociali. Pur non entrando nel merito dell’auspicabilità o meno di tali condizioni Lieber, evidenziava come questo potesse considerarsi ancora un altro esempio di come il termine uguaglianza fosse profondamente radicato nel concetto stesso di libertà in Francia. Di qui a cascata derivava anche l’idea che il suffragio universale potesse essere l’elemento in grado di garantire l’uguaglianza e quindi la libertà; ma il suffragio privo di adeguati contrappesi istituzionali poteva molto facilmente condurre all’assolutismo. Una ulteriore sottolineatura veniva fatta a proposito della preferenza per la camera unica, vista come conseguenza dell’idea tutta francese dell’unità del governo o dello Stato, rigettando in tal modo qualsiasi ipotesi di federalismo, infatti se «l’anglosassone cerca nel governo l’unione: il francese, l’unità. Questo vuole che il suo governo sia una solida unità. Esso mira a privare il più possibile ogni istituzione del principio dell’autogoverno e dell’indipendenza, e la sola questione che rimane è chi sarà il sovrano, e ricevere il potere che esso dà»29. Concludendo il ragionamento sulla libertà francese, Lieber si chiedeva se avessero ragione coloro che dicevano che solo gli anglosassoni erano adatti alla libertà, cioè gli inglesi e quelli che da questi ultimi discendevano, oppure ancora si doveva dare ragione a chi riteneva che per godere di vera libertà si dovessero copiare le principali istituzioni degli anglosassoni. Meritano a questo punto di essere citate per intero le parole dell’autore:
È fuori di dubbio che la maggior libertà è goduta oggigiorno dalla razza anglosassone, le cui istituzioni e garanzie sembrano formare il solo sistema di libertà civile esteso, consistente e pratico; il solo in cui la libertà e la legge si trovino fermamente intrecciate e per mezzo del quale sia divenuto possibile tradurre in realtà pratica ciò che Tacito reputava impossibile: l’unione fra libertas e imperium […] Ma non si deve dimenticare, da un lato, che le altre nazioni e razze possono svolgere certi principi in un modo particolare al loro carattere ed alle loro circostanze; dall’altro, che è regola di ogni esteso progresso dell’umanità, che quel tanto che fu guadagnato mediante la pazienza, il sangue o fortunate combinazioni in un paese, giovi ad altri paesi e alle loro genti30.



Libertà civile e autogoverno

Definite le caratteristiche, o meglio gli elementi costitutivi della “libertà civile”, diveniva per Lieber indispensabile passare allo stadio successivo, quello cioè di individuare attraverso quale modo tale sistema di libertà poteva realizzarsi. Arrivare quindi a quello che si può considerare lo snodo fondamentale della sua teoria politica. Si trattava, infatti, di analizzare le istituzioni che insieme potevano reggere tale impianto di libertà. Dove il termine “istituzione” viene inteso come «sistema o corpo di costumi, di leggi, o di regolamenti aventi un’azione estesa e periodica, contenente in sé stesso un organismo per mezzo del quale esercita la sua azione indipendente, la sua continuità, e generalmente il suo sviluppo ulteriore. Suo oggetto è produrre, effettuare, regolare o sanzionare una serie di atti, di transizioni, di un particolare genere o classe»31. Più in particolare gli attributi di una compiuta istituzione per Lieber erano i seguenti: essere un corpo organico di leggi o di costumi formanti un tutto; avere un’efficacia estesa e produrre effetti diffusi; operare all’interno di una sfera ben definita; avere un grado di durata indipendente (rispetto agli uomini che la compongono); possedere autonomia; avere funzionari o membri suoi propri (poiché senza di ciò non sarebbe un effettivo sistema di leggi). In sostanza un’istituzione era l’opposto della disposizione individuale o della semplice inclinazione personale, implicava «l’azione organica». Ma tali attributi che la potevano rendere utile alla causa della libertà, potevano trasformarsi anche in un pericolo quando l’istituzione agiva contro di essa. Per questo motivo Lieber passava ad indagare in che cosa consistesse allora in dettaglio una istituzione posta al servizio della libertà, mettendo in evidenza in particolare le caratteristiche del self-government. Val la pena citare la definizione di quello che egli chiama in tal senso self-government istituzionale:
Per autogoverno istituzionale s’intende quel governo popolare che consiste in un grande organismo di istituzioni oppure in una unione di sistemi di leggi armonizzanti fra loro predisponenti all’autogoverno. Esso è di carattere essenzialmente cooperativo perciò è l’opposto dell’accentramento; è la libertà articolata, perciò è l’opposto di un governo inarticolato di maggioranza. Esso ha il carattere di mutua assicurazione, e quindi anche di mutua restrizione; sotto questo aspetto è la negazione dell’assolutismo. La sua natura genetica è spontaneamente evolutiva, così si contraddistingue dai governi fondati su principi extra popolari come il diritto divino. Da ultimo l’autogoverno istituzionale […] è il solo autogoverno pratico, il solo autogoverno introdotto nella vita reale, e perciò l’opposto di una libertà vaga o teorica, la quale proclama principi astratti, ma nel fatto non si può sciogliere dal dispotismo di una parte sull’altra, sia permanente o mutabile la parte predominante32.
Lieber utilizzava poi due ulteriori termini per definire il self-government istituzionale, self-reliance cioè fiducia in sé stessi, e self-rule inteso questo come mutuo riconoscimento della propria autonomia. Da questo punto di vista quindi esso rappresentava la realizzazione dell’eguaglianza politica. Successivamente, entrando nel concreto, pur sottolineando come tale sistema di governo necessitasse che il potere esecutivo, legislativo e giudiziario fossero separati, avvertiva che se ci si fosse limitato a considerarlo esaurito nel Congresso e nelle Legislature degli Stati per quanto riguarda gli Sati Uniti, e nel Parlamento per ciò che attiene l’Inghilterra, si sarebbe omesso un altro aspetto fondamentale. Il fatto cioè che il self-government «per essere di carattere penetrativo, richiede l’autogoverno istituzionale della contea o del distretto; richiede che tutto quello che, senza inconveniente generale, può essere lasciato alla sfera cui appartiene, lo si lasci gestire da essa […] e nel fatto che si lascia al popolo molta parte di ciò che sul continente europeo si chiama amministrazione. Esso richiede in una parola […] autogoverno locale»33. La formula del self-government veniva così sintetizzata in modo efficace da Lieber facendo coesistere due massime. Da un lato “divide and rule” e dall’altro il suo opposto, in questo caso altrettanto valido, “unite and rule”. Di nuovo ci sembra che le teorie tocquevilliane abbiano indirizzato il nostro autore, ma ancor prima di queste su questo particolare aspetto riguardante il grado di autonomia delle località rispetto al potere centrale, ci sembra possa aver influito su di lui la lezione del suo maestro Niebuhr34.
Ovviamente tale modello istituzionale per Lieber poteva riservare anche alcuni pericoli come la possibilità che la tendenza locale prevalesse sul principio dell’unione portando alla disgregazione statale; la prevaricazione degli interessi locali su quelli generali; la tendenza del popolo a travalicare i limiti di legge dimenticando i propri doveri in quanto governato, e ricordando solo quelli in quanto governante, potendo in tal caso arrivare a forme di assolutismo popolare. Ciò nonostante egli riteneva che altri modelli istituzionali non garantivano risultati migliori, oltretutto con pericoli sicuramente maggiori per la libertà. Questo per la difficoltà intrinseca, dovuta al fatto, come egli arrivava a constatare, che l’idea di ogni governo era connessa a quella di potere, mentre quella di libertà a quella di freno e protezione. Ci sembra in tal senso che trovare l’armonia fra questi due estremi (entrambi necessari per la vitalità pubblica e il progresso civile) diveniva quindi il compito gravoso ma ineliminabile di ogni istituzione politica, ed in On Civil Liberty Lieber riteneva che tale compito, seppur con alcuni difetti, fosse assolto sia nel modello politico-istituzionale inglese sia in quello americano. Le sue parole in tal senso appaiono chiarissime:
Il solo modo di vincere la difficoltà, consiste nel prevenire l’esorbitare di tutti i poteri; perché, quando essi sono cresciuti, è troppo tardi. Questo non può essere fatto mettendo classe contro classe, interesse contro interesse. Uno di questi deve essere più forte dell’altro, e lo assorbirebbe. Né il problema si può risolvere con la discordia, ma con l’armonia, la pace, unite anche all’azione organica.Ora la storia e la speculazione non indicano altra soluzione a questo alto problema umano all’infuori di un sistema ben fondato e diffuso di istituzioni che si contengano e si modifichino a vicenda, siano forti e si governino da sé, abbiano un potere limitato dal principio stesso dell’autogoverno di ciascuna, ma siano tutte unite, operino ad un fine comune, producano così un governo generale di carattere cooperativo, e fungendo, nei molti casi in cui senza istituzioni gli interessi urterebbero contro gli interessi, come dei cuscinetti nelle macchine35.
Emblematico in tal senso l’ultimo capitolo dell’opera intitolato Vox populi Vox dei, dove riprendendo la sua analisi del bonapartismo36, pensando in particolare a Luigi Napoleone, riscontrava come la legittimazione di quest’ultimo fosse avvenuta facendo leva proprio sul fatto che egli fosse l’espressione diretta del potere popolare, e che quindi la voce del popolo fosse la voce di Dio. Nulla di più estraneo, secondo Lieber, all’idea di un’autentica democrazia liberale. Egli infatti non esitava a definire la dottrina del vox populi vox dei come antirepubblicana, la vera libertà infatti non poteva basarsi sul concetto che il popolo non può mai sbagliare. A suo avviso, un vero repubblicano deve per forza di cose volere la libertà «non la deificazione di se stesso o degli altri, egli vuole un autogoverno solidamente costruito e nobili istituzioni, ma non l’assolutismo di nessuna sorta né per gli altri né per se stesso […] Egli non vuole il diritto divino del popolo, perché sa molto bene che ciò significa soltanto il potere dispotico di accorti capi. Egli vuole il vero governo del popolo, cioè il paese organizzato istituzionalmente, vale a dire ciò che lo distingue dalla mera folla». E concludeva il pensiero quasi con una esortazione: «Guai al paese in cui l’ipocrisia politica prima chiama il popolo onnipotente, poi dice che la voce del popolo è divina, quindi pretende di prendere un semplice clamore per la vera voce del popolo, e da ultimo eccita il clamore desiderato. Le conseguenze di ciò sono spesso terribili e immancabilmente inadatte per la libertà»37.









NOTE
1 A. de Tocqueville, Tocqueville on America after 1840-Letters and Other Writings, Edited by A. Craiutu and J. Jennings, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, p. 67. Tocqueville aveva conosciuto Lieber durante il suo viaggio negli Stati Uniti.^
2 Cfr. F. Freidel, Francis Lieber, Ninetenth-Century Liberal, Clark, The Lawbook Exchange, 2003, pp. 82-95.^
3 Cfr. M.L. Salvadori, L’Europa degli americani, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 211.^
4Alcuni studiosi di Lieber indicano come anno di nascita il 1800.^
5 Cfr. H.A. Winkler, Grande storia della Germania, Roma, Donzelli Editore, 2004, I, pp. 43-58.^
6 Sulla gioventù universitaria tedesca Hegel si era così espresso nel 1817: «Gli avvenimenti che negli ultimi anni hanno scosso il mondo, e la lotta per l’indipendenza della Germania, hanno ispirato alla gioventù tedesca delle università interessi più alti che non il pensare soltanto a guadagnarsi il pane, o a procurarsi un impiego, una volta terminati gli studi; questa gioventù ha versato la sua parte di sangue anche al fine che i territori tedeschi ottengano libere costituzioni, ed è andata sul campo di battaglia con la speranza in futuro di poter operare in quel senso, e di avere parte nella vita pubblica dello stato». G. W.F. Hegel, Scritti Politici, a cura di C. Cesa, Torino, Einaudi, 1972, p. 151^
7 Cfr. L.R. Harley, Francis Lieber, His Life and Political Philosophy, New York, The Columbia Press, 1899, pp. 37-38.^
8 Niebuhr si trovava a Roma dal 1816 in qualità di ministro plenipotenziario prussiano presso lo Stato Pontificio.^
9 A parte la Dobson’s Encyclopædia, pubblicata fra il 1789 e il 1798, l’Encyclopædia Americana si deve considerare la prima significativa enciclopedia pubblicata negli Stati Uniti.^
10 Su quest’ultimo aspetto cfr. L.R. Harley, op. cit., pp. 119-122.^
11 F. Lieber, Manual of Political Ethics, Boston, C. Little and J. Brown, 1838, part I, p. 183.^
12 Idem, On Civil Liberty and Self-Government, Philadelphia, J. B. Lippincott, 1859 (seconda edizione), pp. 215-217.^
13 Ivi, p. 2.^
14 Cfr., ivi, pp. 24-25 e pp. 41-42.^
15 Cfr., ivi, pp. 51-52.^
16 Cfr., ivi, p. 56.^
17 Queste garanzie vengono enumerate a partire dal cap. VI e fino al cap. XXI dell’opera in questione.^
18 Ivi, pp. 128-129.^
19 Su questo punto è stato osservato che due ideali hanno catturato l’attenzione dei pensatori politici statunitensi durante molta parte della storia nazionale americana. Uno è l’ideale della regola della maggioranza popolare. Madison nel Federalist puntualizzava che «il carattere del popolo americano» è quello «di basare tutti i nostri esperimenti politici sulla capacità di autogoverno della umanità» e creare un governo «che derivi dalla gran massa della società, e non da una sua trascurabile parte, o da una classe privilegiata». Il secondo ideale è quello di tutelare le minoranze. Hamilton sempre nel Federalist affermava che un giusto sistema di governo doveva prevenire «gravi oppressioni della minoranza della comunità» e proteggere «i diritti individuali dalle conseguenze di quei malumori che talvolta le arti di uomini manovrieri o l’influenza di particolari congiunture potrebbero disseminare fra lo stesso popolo». Cfr.W.E. Nelson, The Roots of American Bureaucracy-1830-1900, Cambridge-London, Harvard University Press, 1982, p. 1.^
20 F. Lieber, On Civil Liberty and Self-Government, cit., p. 168.^
21 Cfr., ivi, p. 235.^
22 Ivi, pp. 252-253.^
23 Ibidem.^
24 Lieber cita un intervento di Tocqueville, datato 8 luglio 1851, contro la centralizzazione
amministrativa e favorevole quindi ad una maggiore autonomia a livello locale.^
25 Ivi, p. 263.^
26 Si tratta del capitolo XXIV dell’opera.^
27 Ivi, p. 285.^
28 Lieber in questo caso non può che riferirsi alle posizioni dei teorici più radicali del socialismo francese, come Blanqui, così come si configurano a partire dalla Rivoluzione del luglio 1830. Infatti, le società segrete attive in Francia fra il 1835 e il 1840 non a caso utilizzavano l’espressione dittatura comunista per qualificare l’obiettivo della propria azione rivoluzionaria.^
29 Ivi, pp. 292-293.^
30 Ivi, pp. 295-296.^
31 Ivi, pp. 304-305.^
32 Ivi, pp. 323-324.^
33 Ivi, p. 325.^
34 Si veda in tal senso F. Lieber, Reminiscences of an intercourse with Mr Nieburh the Historian, Carey, Lea & Blanchard, Philadelphia, 1835, pp. 59-60. A Niebhurh, convinto assertore della libertà garantita dal sistema politico-istituzionale inglese, si deve anche l’avvicinamento di Lieber all’opera di Edmund Burke, un autore che avrà una certa influenza nei suoi scritti. Cfr. F. Freidel, op. cit., pp. 149-150.^
35 F. Lieber, On Civil Liberty and Self-Government, cit., pp. 365-366.^
36 Per capire come Lieber interpretava il bonapartismo basta a nostro parere leggere il giudizio che egli dava su Napoleone, di cui Luigi Napoleone era considerato erede politico, in uno scritto successivo ad On Civil Liberty. Egli infatti così si esprimeva: «Napoleone non aveva istinto istituzionale, nessuna comprensione per l’autogoverno e anche nessuna concezione della libertà civile. La più alta idea di libertà che sembra aver concepito è l’appello a un suffragio universale per la concessione di un potere illimitato. L’assolutismo così concesso, l’esecutivo così stabilito, era nella sua mente il reale rappresentante del popolo. Egli detestava il parlamentarismo, odiava il governo rappresentativo da lui chiamato aristocratico. La vera democrazia era, secondo lui, fondata sull’assolutismo attraverso un atto di suffragio universale». F. Lieber, Washington and Napoleon-a fragment, New York, 1864, pp. 7-8.^
37 F. Lieber, On Civil Liberty and Self-Government, cit., pp. 414-415.^
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